Lo Squalo se ne è andato

A distanza di pochi giorni mi trovo di nuovo a ricordare un grande Coach che ci ha lasciato: Jerry Tarkanian “The Shark”.
Lo incontrai a Los Angeles al Camp di Pete Newell, era già leggendario, ma anche lui di una semplicità imbarazzante per un giovane coach come me. Quando scoprì che ero italiano mi cominciò a parlare del figlio, Danny, playmaker della sua squadra. L’anno successivo mi ricontattò attraverso Coach Newell per vedere se ci fosse un’opportunità. Ma il figlio lasciò presto il basket per dedicarsi al lavoro.
Lo Squalo era molto diverso da Dean Smith, è diventato leggendario per la sua carriera a UNLV ( University of Nevada Las Vegas) dove ha ottenuto straordinari successi reclutando atleti che difficilmente sarebbero potuti diventare giocatori NBA.
Con un record di 729 vittorie nell’NCAA, è settimo in percentuale di vittorie, davanti a mostri sacri come Smith e Krzyzewski, ma la sua partita mai terminata è stata quella combattuta con l’NCAA. Le cause e le sospensioni legate alle irregolarità di reclutamento lo hanno accompagnato per anni.
Tarkanian è stato un ottimo coach, molto migliore di ciò che si è detto, ha iniziato per primo ad usare sistematicamente il tiro da tre punti, il suo stile di gioco “Run and Gun” (corri e spara) caratterizzato dal gran numero di possessi, unito alla difesa a tutto campo, ha fatto scuola.
Per quattro volte è arrivato alle Final Four, sempre contro grandi College: lui con il piccolo UNLV, ha perso le prime due volte con Dean Smith, UNC, e Bobby Knight, Indiana University; ha vinto nel 1990 con Coach Krzyzewski, Duke University, concludendo nella stagione successiva, 1990-91, con una sconfitta in semifinale proprio con Duke. L’anno successivo fu travolto da uno scandalo provocato da tre suoi giocatori che lo portarono a lasciare UNLV.
Ma per raggiungere le 700 vittorie riprese ad allenare a Fresno State, la sua Alma Mater. Altro record: in tutta la sua carriera solo due volte le sue squadre hanno mancato il traguardo delle 20 vittorie.
Significative le parole di Coach K dopo la vittoria a sorpresa del 1991:
“Come coach noi lo apprezziamo, la sua squadra è una gioia da vedere, anche se ci devi giocare contro non puoi non apprezzarla. Insegna la difesa press tutto campo come nessun altro ha mai fatto.”
Tarkanian aveva una incredibile abilità di reclutare stelle e trasformarle in una squadra con una mentalità che ben si comprende dalle sue parole:
“Ogni cosa deve essere fatta alla massima velocità ed intensità. Molti allenatori desiderano che i loro giocatori siano rilassati prima delle partite. Io non voglio mai che accada. Io voglio che le loro mani sudino, le loro gambe tremino, che gli occhi siano spiritati. Io voglio che agiscano come se si preparassero alla guerra.”

come sempre ESPN traccia un magnifico profilo, da leggere!

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Hi Roberto, I’m Coach Smith…

Estate 1997, allenavo a Fabriano, eravamo alla ricerca di un playmaker. Un amico olandese mi propose il nome di Jeff McInnis, le informazioni erano contrastanti: un giocatore di classe superiore ma di difficile gestione.
Decisi di telefonare a Coach Dean Smith che lo aveva allenato a North Carolina, rispose la sua segretaria, si ricordò della mia visita nel 1998 ma Coach Smith non era in ufficio, avrebbe riferito della mia telefonata. Dopo un paio d’ore squillò il cellulare e… “Hi Roberto, I’m Coach Smith...” Stavo svenendo! Mi stava chiamando direttamente lui, un mito, si ricordava perfettamente di quella lontana visita, mi diede informazioni molto chiare (lasciammo perdere, non era proprio il caso) nel chiudere la telefonata mi chiese di salutare il suo grande amico Sandro Gamba.
Oggi se ne è andato, ad 83 anni, in silenzio circondato dall’affetto della sua famiglia e delle centinaia di giocatori e coach che devono a lui tanto se non tutto, insegnamenti di vita oltre che di sport.
IMG_1012In quei giorni passati a UNC fu di una disponibilità incredibile, ci aveva assegnato un suo assistente per spiegare tutto ciò che veniva fatto in campo, ci accompagnava nella loro videoteca, ci dava i piani di lavoro.
Negli allenamenti eravamo posizionati nel primo anello, non dovevamo sentire le chiamate delle difese e dei giochi, erano segrete, ma c’era chi stava peggio, sistemato nell’ultimo anello dell’impianto, da lì era difficile anche vedere… La posizione dipendeva dal livello di importanza degli ospiti.
In campo era uno spettacolo, un’organizzazione incredibile, tra assistenti e manager, era tutto preordinato. Una per tutte: un manager doveva essere sempre nel suo cono visivo per alzare un braccio quando finiva il tempo dedicato ad un esercizio!
Ci portò a pranzo, ero con Giorgio Montano e sua moglie Lulù, ci sembrava di essere in un film: gentile, disponibile, allegro: come tutti i Grandi, di una semplicità imbarazzante!
Lo rividi nel 1993, quando vinse, inaspettatamente, le Final Four a New Orleans, grazie alla incredibile stupidaggine di Chris Webber. In quell’occasione lo incontrai insieme a Pete Newell, due incommensurabili maestri!
Tante delle mie vittorie sono legate alla sua Point Zone ed alla variante press a metà campo che Ettore Messina mi insegnò, Ettore era un suo allievo prediletto.
Oggi è scomparso un uomo che ha scritto pagine indimenticabili di basket, allenando giocatori straordinari, Michael Jordan per tutti, lascia un vuoto incredibile, paragonabile a quello lasciato da John Wooden, ma resterà vivo per sempre, nei ricordi e nell’esempio dei suoi giocatori e dei suoi assistenti, perchè negli USA. la memoria dei padri è un fondamento della cultura. In questo noi italiani dovremmo imparare tanto!

Vi inserisco il link dell’articolo di ESPN con l’intervista a Dick Vitale, vale veramente la pena, leggere ed ascoltare!
intervista a Dick Vitale su ESPN

Basket, istruttori, genitori, ragazzi…

Due miei allenatori hanno ritrovato una mia vecchia lezione sempre interessante…! 
 GENITORI, ISTRUTTORI E PSICOLOGIA NELLO SPORT GIOVANILE
 La mia esperienza nasce da giocatore (scarso) con un padre sportivo di alto livello, che però non ha voluto che io praticassi una serie di sport per motivi “sociali”. Ho scelto il basket e ne ho fatto la mia vita. Come giocatore ho giocato pochissimo, allenandomi molto ed ottenendo un posto fisso solo quando sono diventato allenatore, presidente e giocatore della società in cui giocavo… Per giocare ho fatto l’allenatore e… ho smesso di studiare. 
 Varie le mie esperienze ma fondamentale l’indicazione di Sandro Gamba che mi indicò l’importanza della psicologia dello sport. Ho allenato giovani a Napoli, la serie A a Napoli, le nazionali giovanili, la serie A a Fabriano, per poi tornare alle giovanili a Napoli da direttore tecnico e dirigente. 
 Credo che il modello insegnatomi da Tommaso Biccardi aiuti molto a comprendere che in questo momento la capacità di relazionarsi ai ragazzi e quindi alle loro famiglie sia determinante nella riuscita del nostro lavoro.

Lo sport rappresenta una realtà in cui responsabilità individuale, rispetto delle regole si coniuga a divertimento in una situazione di scelta personale del ragazzo (anche se qui ci sarebbe da discutere). 

 Si dice che lo sport sia scuola di vita, per me lo può essere a patto che si metta una grande attenzione nell’insegnarlo e nel praticarlo. 
 Un’altra premessa, molte cose di cui parlerò spesso non si riesce a metterle in opera per una serie di situazioni contingenti, ma credo che la coscienza di ciò che deve essere fatto sia il primo passo per raggiungere un obiettivo.

Come arrivano i ragazzi a fare sport: 

  •  Messaggi pubblicità: dai corn flakes, ai giornali, ai compagni di scuola, alla Tv, ai video giochi dove ci si disegna campione (play station)! 
  •  Spinta del genitore: ex atleta, sue mancate aspirazioni 
  • Compagni di scuola, amici 
 Questi messaggi sono molto spesso improntati alla competitività esasperata, al vincere ed primeggiare tra gli altri come unica strada di fare sport.

Il non riuscire nello sport è un vedersi diminuito come immagine verso gli altri (genitori, compagni) e verso se stessi. E’ meglio andare male a scuola che non riuscire nello sport (secchione!)

Il riuscire all’opposto da spesso una prospettiva sbagliata di se stessi nella vita ed una sensazione di intoccabilità!

Da tutto ciò nasce una situazione di stress che va gestita dagli istruttori e dai genitori attraverso un corretta comunicazione tra: 

 1) Atleti – Istruttori 
  •  E’ la relazione più importante e può essere danneggiata da improprie critiche da parte dei genitori. 

 2) Genitori – Istruttori: quanto il tipo di rapporto influisce in modo diretto sull’atteggiamento e sul comportamento del giovane atleta nei confronti dello sport, non è facile definire ma la sua importanza è a mio parere sostanziale. 

  • Cosa il coach deve comunicare ai genitori:
  1. Filosofia di gioco del coach 
  2. Aspettative sul ragazzo
  3. Organizzazione degli allenamenti 
  • Cosa comunicare all’allenatore 
  1. Avere un primo contatto positivo presentandosi e proponendo una collaborazione 
  2. Preoccupazioni particolari: comunicate direttamente al coach (problemi caratteriali, fisici, etc.). 
  3. Problemi pratici (concomitanze di orari, studio, etc.) 
  4. Specifiche preoccupazioni riguardo alla filosofia ed alle aspettative del coach. 
  • Di cosa discutere con il coach 
  1. Il trattamento riservato al figlio, mentalmente e fisicamente 
  2. Modi per aiutarlo a crescere 
  3. Preoccupazioni per il suo comportamento 
  • Di cosa non parlare con l’allenatore 
  1. Tempo di gioco 
  2. Strategie di gioco 
  3. Schemi chiamati 
  4. Di altri giocatori 
  • Come fare se ci sono cose di cui parlare con l’allenatore 
  1. Fissare un appuntamento lontano dalla partita e dall’allenamento, in una situazione tranquilla e riservata.

 3) Genitori – Atleti 

  • Non cercare di vivere attraverso tuo figlio. 
  • Se credi che l’allenatore non stia svolgendo un buon lavoro, non comunicarlo a tuo figlio. 
  • Non dare suggerimenti tecnici durante la partita.

    d) Non dare un cattivo esempio urlando contro arbitri ed avversari. 

Scegliere lo sport giusto: 

  • Molti esperti sostengono che i ragazzi devono scegliere lo sport, a mio parere è vero solo in parte poiché sono troppi i messaggi che bombardano i ns. giovani e come genitore si dovrebbe riuscire ad aiutarli. 
  • Non vediamo solo gli sport di squadra, esistono altri sport in cui si può partecipare con più facilità non scartiamo a priori l’atletica, la canoa, la vela o altri sport che tra l’altro hanno il vantaggio di poter essere praticati per tutta la vita. 

Fattori nella scelta dello sport: 

  • Il figlio sceglie perché…. Amici, genitori, tv, etc. 

In un secondo momento si rende conto che non riesce, diamogli l’opportunità di cambiare. Cerchiamo di capire perché vuole cambiare: il coach, la competitività, l’inadeguatezza. 

  • Il carattere svolge una funzione molto importante, non insistere con un figlio timido a partecipare ad uno sport di squadra quando per lui la corsa di lunga distanza è una situazione con cui si trova bene. 
  • La domanda centrale è “mio figlio si diverte nel fare sport?” 

La scelta dell’allenatore

Insieme alle abilità tecniche i ragazzi imparano l’importanza di riuscire in un compito, il valore di avere una passione sportiva le ricompense del lavoro di gruppo, la gioia di raggiungere un obiettivo, l’importanza di sforzarsi per eccellenza, l’appoggio di un adulto premuroso ed il gusto dolce di realizzare il successo. 

Il programma va in difficoltà quando l’allenatore stressa eccessivamente il concetto di vittoria mettendo in secondo piano gli altri benefici dello sport. L’allenatore deve 
  • Saper insegnare e non solo avere conoscenze tecniche 
  • Dare entusiasmo, con la voce, con l’esempio sul campo 
  • Saper ascoltare, avere capacità di comunicare: Il rispetto nasce anche dal dimostrare la volontà di ascoltare gli atleti per tirare fuori che cosa hanno dentro e che aiuto richiede. 
  • Comprendere l’importanza dei piccoli problemi, la gelosia tra compagni per esempio. 

Il genitore deve:

  •  Aiutare il figlio a sviluppare una sana aspettativa personale, accettando successi e fallimenti che derivano dal praticare uno sport. Questo è uno dei suoi compiti principali. 
  • Parla con tuo figlio lontano dalla partita o dalla gara. 
  • Cerca di stimolarlo a parlare ad esprimere ciò che sente, ciò che gli piace dell’allenamento, le sue esperienze. Ci vorrà tempo perché inizi a parlare.
  • Cerca di creare l’auto coscienza di ciò che ha fatto di buono, anche se la squadra ha perso. Se ha giocato male cerca di parlare di cosa ha imparato dagli errori fatti e cosa fare per migliorare in vista delle prossime partite. 
  • Comprendere la sensibilità dei ragazzi e quando arriva di cattivo umore condividi i suoi sentimenti, fagli sentire che hai capito. Dagli una prospettiva più ampia della situazione. 

 Cosa fare con un figlio non atleta: ci sono tante altre possibilità di vivere lo sport, allenatore, giornalista, statistiche, arbitro…!

“Primo l’atleta, secondo vincere” ma il vincere ha un suo valore, si deve imparare dalle vittorie come dalle sconfitte ed occorre spiegarlo ai ragazzi che percepiscono la differenza.

Il modo in cui il ragazzo reagisce allo stress dipende dall’allenatore e dai genitori.

In una ricerca di USA TODAY confermata da molti psicologi si sottolinea che una gran parte dei problemi è creata da genitori che hanno imparato ciò che sanno dello sport dal guardare lo sport professionistico in televisione e si aspettano che i loro figli usino le stesse strategie e tecniche usate dai professionisti. Da genitore ed allenatore bisogna ricordare che non ci si può aspettare da un ragazzo di essere un mini professionista, innanzitutto è un bambino e poi un giovane atleta.

Ma quale che sia il programma sportivo di tuo figlio la cosa più importante è di trasmettergli un amore incondizionato. 

 Negli Stati uniti è uscito un libro, che sta avendo un gran successo, che titola: Will You Still Love Me If I Don’t Win? (Mi vorrai bene se non vinco?)

La Memoria nel presente

10426772_10152536616899047_8105166545993473800_nIn occasione della festa di chiusura di Vivi Basket che si è svolta a maggio 2014 ci era venuta a trovare Alberta Levi Temin, ebrea, novantaquattrenne, mamma di un mio caro amico, scampata ai rastrellamenti nel 1942.

Ho pensato che la sua testimonianza avrebbe potuto aiutare a crescere i nostri ragazzi.

La accompagnai al centro del campo ed iniziò a parlare. Siamo rimasti tutti ipnotizzati. I bambini, anche più piccoli, ascoltavano con grande attenzione, affascinati dalle sue parole. La realtà dura del suo racconto in palestra è esplosa:

«Io sono ebrea ma questo non fa nessuna differenza, Io non sono un’eroina, io mi sono salvata ma la mia gioventù è stata molto dolorosa. Ho perso tante persone care. Per quarant’anni non ho parlato. Ma qualcuno ha osato dire che i campi di eliminazione non c’erano stati. Non ce l’ho fatta più ed ho cominciato a parlare.

La vita è bella e bisogna viverla con gioia, e deve essere bella per tutti. Se avete un compagno di banco, di gioco, di studi, che è diverso da voi, che parla una lingua diversa, che ha un altro colore, lui è uguale a voi, perché siamo tutti uguali nel genere umano».

Perché la memoria deve essere testimoniata nel presente, in un momento in cui invece sta diventando normale essere contro: sud, nord, immigrati, cristiani, musulmani, bianchi, neri, gialli. Non ci si rende conto che non c’è grande differenza da ciò che è successo in quei terribili anni. Perciò dobbiamo ricordare, dobbiamo pensare. Altrimenti la giornata della memoria diventa una delle tante ricorrenze di maniera.

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Ecco perché lo sport è pericoloso (da un testo di Mauro Berruto)

Si intitola “Ecco perché la pallavolo è lo sport più pericoloso che esista” un post pubblicato su eticamente.net (in fondo c’è il link diretto all’articolo) e ho trovato stimolante e utile ciò che dice Mauro Berruto, l’allenatore della nazionale italiana di pallavolo maschile (è pubblicato in ‘Sogni di gloria. Genitori, figli e tutti gli sport del momento’, per la collana “Save the parents”, Scuola Holden, edito da Feltrinelli). Il ct azzurro fa riflettere con una metafora sull’individualismo portato ormai all’esasperazione, il “vincere a tutti i costi” che conta più della condivisione e della partecipazione. Perciò lo sport (in particolare quello di squadra, come la pallavolo o tanti altri) è pericoloso, perché può far nascere unione, condivisione, affiatamento.

«Mi rivolgo a voi in quanto esseri adulti, razionali e con la testa ben piantata sulle spalle – scrive Mauro Berrutocommissario tecnico della nazionale italiana di pallavolo maschile – preferisco essere proprio io a dirvelo, con cognizione di causa e prima che lo scopriate sulla vostra pelle: la pallavolo è lo sport più pericoloso che esista. Vi hanno ingannato per anni con la storia della rete, della mancanza di contatto fisico, del fair play.

Ci siamo cascati tutti, io per primo, il rischio è molto più profondo subdolo. Prima di tutto questa cosa del passaggio: in un mondo dove il campione è colui che risolve le partite da solo, la pallavolo, cosa si inventa? Se uno ferma la palla o cerca di controllarla toccandola due volte consecutivamente, l’arbitro fischia il fallo e gli avversari fanno il punto.

Diabolico ed antistorico: il passaggio come gesto obbligatorio per regolamento in un mondo che insegna a tenersi strette le proprie cose, i propri privilegi, i propri sogni, i propri obiettivi. (…) Accidenti, ci mettiamo tanto ad insegnare ai nostri figli di girare al largo da certa gentaglia, a cibarsi di individualismo, a tenersi distanti da quelli un po’ troppo diversi e poi li vediamo tutti ammassati in pochi metri quadrati, a dover muoversi in maniera dannatamente sincronica, rispettando ruoli precisi, addirittura (orrore) scambiandosi un “cinque” in continuazione.

Non c’è nessuno che può schiacciare se non c’è un altro che alzanessuno che può alzare se non c’è un altro che ha ricevuto la battuta avversaria.

Una fastidiosa interdipendenza che tanto è fondamentale per lo sviluppo del gioco che rappresenta una perfetta antitesi del concetto con cui noi siamo cresciuti e che si fondava sulla legge: “La palla è mia e qui non gioca più nessuno”. (…) Insomma questa pallavolo dove la squadra conta cento volte più del singolo, dove i propri sogni individuali non possono essere realizzati se non attraverso la squadra, dove sei chiamato a rimettere in gioco sempre ed inevitabilmente quello che hai fatto, diciamocelo chiaramenteè uno sport da sovversivi!
Potrebbe far crescere migliaia di ragazzi e ragazze che credono nella forza e nella bellezza della squadra, del collettivo e della comunità. Non vorrete correre questo rischio, vero? Anche perché, vi avviso, se deciderete di farlo, non tornerete più indietro».

Mauro Berruto
Commissario Tecnico della nazionale maschile di pallavolo

(Testo pubblicato sul volume ‘Sogni di gloria. Genitori, figli e tutti gli sport del momento’ della collana ‘Save the parents’ di Scuola Holden edito da Feltrinelli)

http://www.eticamente.net/38296/pallavolo-sport-pericoloso-ecco-perche.html

e qui il link della collana Feltrinelli:

http://www.scuolaholden.it/produzioni-holden/progetti-editoriali/save-the-parents/

25 gennaio 1987

Papà e mamma 1954

Il 25 gennaio 1987  Giosuè, uno dei tre angeli che lo avevano assistito in quei quattro mesi, mi aveva chiamato alle sei e mezzo,  proprio alla stessa ora in cui mi sono svegliato questa mattina. Papà se ne era andato dopo quattro mesi di silenziosa sofferenza.

Me ne andai in giardino, era una mattina come questa, fredda con il cielo terso, il Suo albero di limi era pieno di frutti.2015/01/img_1001.jpg Non era mai accaduto, ma lui non avrebbe più potuto mangiare quel frutto aspro e profumato che tanto amava, o’ limmo.
Il giardino era insolitamente fiorito, le camelie, il dracunculus, erano lì a salutarlo.  L’ultima volta che mi aveva riconosciuto era stato il 12 di dicembre, mi aveva stretto la mano, tirato a se e fatto la crocetta, sarebbe stata l’ultima.
Camminavo per il Suo giardino, tra fiori, piante ed animali, sentivo la sua presenza ed avvertivo già la Sua assenza. Mi aveva cresciuto con affetto ma con tante rigide regole, nulla era irraggiungibile se avessi dato il massimo… Una onnipotenza con cui spesso mi sono scontrato, che mi ha portato ad affrontare e a dover poi accettare i miei limiti.

Sciabola Arturo di LorenzoSe il basket è diventato la mia vita, lo devo a lui, sportivo vero, campione, un po’ dissennato, di sciabola degli anni trenta, che volle che conoscessi lo sport di squadra, per vivere e conoscere altri mondi, altre persone, diverse dal mondo dorato in cui ero nato.
Ma fu proprio il basket a dargli il dispiacere del mio abbandono dell’università, che non ebbi mai il coraggio di confessare, rimase un argomento muto tra di noi.
Non dimenticherò mai la nostra chiesetta in giardino, piena all’inverosimile di fiori, portati da Filippo, il Suo fioraio, che piangeva con noi, non avremmo mai saputo cosa lo legava a papà, che ancora oggi gli fa inumidire gli occhi se ne parla. Ma questo era mio padre,
Gli amiciQuell’uomo aristocratico, burbero era amatissimo da tutti, i suoi operai, i suoi collaboratori, i suoi amici. Si, quel gruppo di amici che erano più che fratelli per lui, zio Piero e zia Giuliana, zio Romualdo, zio Ermelino e zia Livia, zio Ninì e zia Luisa, zio Pasqualino e zia Paola, Robertino, Carletto. C’erano tutti, e mille altri, nella chiesa di San Ferdinando quell’ultima mattina, una dimostrazione di affetto unica. Al mio fianco, le persone che mi volevano bene, mi accompagnarono, mentre finalmente piangevo, quelle lacrime che lui mi rimproverava, dovevo essere forte, non piangere!
Mi lasciava un esempio straordinario, tante storie della sua vita, l’onere e l’orgoglio di essere un di Lorenzo, che lui aveva riportato nella sua vita esemplare di lavoro. La nobiltà della nostra famiglia, non doveva essere di maniera, ma un modo di essere, di vivere, in cui testimoniavamo chi ci aveva preceduto.

Nella vita si testimonia il proprio passato nel presente, giorno dopo giorno, trasmettendo ai giovani con l’esempio, le proprie esperienze!

Video

Klay Thompson, 37 punti in un quarto, record NBA

Klay Thompson, 37 punti in un quarto, record NBA

Questa notte Klay Thompson si è esibito in una straordinaria prestazione: bellissima la sua tecnica di tiro, compatta, fluida, con la ricerca continua del ritmo da un arresto ad un tempo!

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Video

I 10 migliori tiratori da 3 punti dell’NBA

Come tutte le classifiche è opinabile, ma il video è bello.

Questi i criteri utilizzati:

1) Percentuale di tiro

2) Capacità di crearsi un tiro

3) Capacità di realizzare i tiri vincenti

 

 

Citazione

Cultura del sacrificio

Vi segnalo una interessante riflessione dal l’Ebook “Pensare Marco Belinelli” di Moris Gasparri, giornalista, cofondatore de Lo Spazio della Politica dove si occupa di geopolitica & cultura globale dello sport.

“La pratica di uno sport ammaestra sul rapporto tra coerenza e risultato. “Soffri, ma sogni”: così l’indimenticato Pietro Mennea sintetizzava il senso dell’impegno sportivo praticato ad alti livelli.

Questo aspetto rappresenta un grande e, per la verità, poco riconosciuto contributo culturale ed educativo dello sport, che acquista un significato ancor maggiore in Italia, dove spesso esiste una cultura del successo fortuita, per cui si arriva al vertice con un colpo del caso, una comparsata televisiva o un aiuto parentale, senza studio e sacrifici costanti nel tempo.”

 

 

L’importanza del rispetto nel basket

Dal sito  Hoopskills un articolo di Coach Brian Schofield http://www.hoopskills.com/the-importance-of-respect

«Quando ero un ragazzino mio padre mi prese da parte un giorno e mi disse qualcosa che non ho mai dimenticato. Mi disse che era di gran lunga più importante per lui che la gente pensasse a suo figlio come ad un bravo ragazzo rispettoso piuttosto che ad un buon giocatore di basket.

Questo concetto non mi ha mai lasciato. Oggi a volte sembra di vivere in un’epoca completamente diversa. Recentemente ho visto una partita di basket estivo AAU (l’organizzazione americana no profit, Amateur Athletic Union), dove, durante un time out, uno dei giocatori ha iniziato ad urlare all’allenatore “Lasciaci tirare e basta!”.

L’allenatore ha abbassato la testa e non ha fatto nulla, mentre il giocatore è tornato in campo e gli è stato permesso di continuare a giocare. Questo non sarebbe mai accaduto con uno qualsiasi degli allenatori con cui ho giocato, e neanche di certo con mio padre.

Durante una partita di baseball, avevo 10 anni, mi trovavo sul monte di lancio ed ho iniziato a piangere perché non riuscivo a giocare bene. Quando mio padre ha cercato di darmi un consiglio dalla panchina, gli ho urlato qualcosa contro. Con calma mi è venuto incontro in campo e mi ha dato una lezione sul rispetto. Mi spiegò chiaramente che lui era il coach e si stava prendendo le sue responsabilità per aiutarmi nelle scelte.

Ho scelto di mancare di rispetto a lui urlando dal campo e lui sceglieva di portarmi fuori dal gioco perché era ciò che ogni buon allenatore deve fare. Ripensando a quell’evento una cosa che spicca per me è il fatto che mio padre non ha aspettato di arrivare a casa per darmi una lezione. Non ha fatto finta che non fosse accaduto niente, ha agito immediatamente e ne ha fatta una occasione di insegnamento.

Non so se avrebbe avuto un impatto così forte su di me per tutta vita se lui avesse ignorato la situazione durante il gioco per poi punirmi a casa. Penso che gli allenatori debbano prendere a cuore queste cose. Si deve approfittare dei momenti di insegnamento e ottenerne il massimo. Non scegliere la via più facile.

Dato che i nostri lettori sono composti sia da giocatori sia da allenatori voglio rivolgermi ad entrambe le categorie per puntualizzare questo aspetto.

Gli allenatori non dovrebbero mai permettere che i giocatori possano ottenere il meglio di loro mancandogli di rispetto. Ciò significa che quando si sta cercando di ottenere grandi risultati  non si devono consentire alcune cose:

1. Non permettere mai di interrompere e parlare mentre il coach sta parlando. Questo è un segno palese di mancanza di rispetto. Se insegni o alleni la spiegazione è per tutti, quindi tutti hanno bisogno di ascoltare. Qualsiasi giocatore che sta parlando, mentre tu stai parlando deve essere richiamato apertamente e immediatamente per correggere il comportamento e per spiegare come ci si deve comportare

2. Non permettere ad un giocatore di rispondere al coach. Nessun giocatore è sopra di voi o la squadra. Quando ero al liceo ho giocato con un ragazzo che è diventato una stella al college ed ha giocato per diversi anni in Eurolega. Questo giocatore era più bravo di tutti noi, e lo sapeva, ma il nostro allenatore non gli concesse mai alibi,  non sorvolò mai su nulla. Diversi allenamenti sono terminati con questo ragazzo nello spogliatoio per la sua mancanza di rispetto verso gli allenatori. Credo che tutto ciò sia stato positivo per lui visto i successi che ha avuto nella sua carriera. Forse dipende dal fatto che i coach non gli hanno mai permesso di essere irrispettoso. Se gli avessero permesso di fare ciò che voleva mi chiedo se avrebbe avuto lo stesso successo. Ne dubito.

3. Non permettere a nessun giocatore di mancare di rispetto ad un  compagno di squadra. Ciò significa che non si consente di sminuire o ridicolizzare alcun compagno per qualsiasi motivo. Gli allenatori devono avere il controllo e quando un altro giocatore sminuisce un compagno ciò danneggia realmente la squadra e da l’idea alla squadra che il coach supporti questo tipo di comportamento.

Un giocatore dovrebbe tenere a mente queste cose. Se si hanno problemi li si devono affrontare e risolvere fuori dal campo. Nessun allenatore vuole essere messo in imbarazzo e la maggior parte non lo tollera affatto. Ho visto molti allenamenti di  Coach Rick Majerus a Utah University: non appena un giocatore apriva la bocca durante l’allenamento veniva messo a tacere e gli faceva un gran culo.

I giocatori devono conoscere il proprio ruolo e capire che nessun individuo è sopra la squadra e l’allenatore ha la responsabilità di proteggere tutto ciò. Siate rispettosi e ascoltate. Se non siete d’accordo, parlate con l’allenatore più tardi e in privato. Affrontare queste situazioni nel modo corretto permette di maturare al punto di sviluppare abilità che vi aiuteranno ad avere successo in ogni situazione della vostra vita.»

Brian Schofield

Posted by  on January 13, 2014