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Quando la volpe non arriva all’uva: il coraggio di dire “non riesco”!

Ho chiesto alla nostra Tonia Bonacci, di scrivere un articolo su uno dei maggiori problemi che si incontra allenando i giovani, “i limiti“.

Tonia, psicologa, psicoterapeuta SIPI, esperta in psicologia dello sport, ha collaborato con il Progetto Vivi Basket dal 2005, proseguendo con me il lavoro iniziato con la Polisportiva Partenope nel 1998, creandosi un bagaglio eccezionale di esperienze sul campo.

Io credo che si possa allargare questo discorso sui limiti a tanti contesti della società attuale. E come sempre Tonia  in questo suo intervento ci regala interessanti spunti di riflessione.

Credo fermamente nell’idea che lo sport formi e aiuti a crescere come persona, fin dalle primissime fasce di età.

Ciò che accomuna chi fa sport è il trovarsi di fronte ad una difficoltà. Per quanto ci si diverta, si stia insieme, si condividano obiettivi, per quanto si possa usare il contesto sportivo per fare nuove amicizie, chi fa sport prima o poi, che lo si voglia o meno, proverà l’esperienza di essere posto di fronte ad una difficoltà, ad un ostacolo che non si sa affrontare, almeno non all’inizio, e che si vuole e che si cerca di superare per imparare, per diventare più abili.

Quell’ostacolo si chiama limite.

Può essere rappresentato da un attrezzo da maneggiare in un certo modo, un gesto tecnico, una lettura tattica, un avversario, sé stessi o il proprio vissuto. 

La spinta a tentare di trascendere il limite si chiama agonismo. Oggi si fa una gran confusione, soprattutto nello sport giovanile, tra agonismo e la richiesta-pretesa di vincere a tutti i costi.

Agonismo significa: tendenza a superare un limite.

Vincere a tutti i costi significa: negare che ci siano limiti e immaginare di essere onnipotenti, cioè io vinco sempre contro tutto e tutti.

Lo sport sano, l’agonismo sano, insegna

  • gestire sé stessi dinanzi al limite;
  • a tentare di trascenderlo da soli e in collaborazione con altri.

Ma è un’esperienza complessa, perché necessita del coraggio di dire a sé stessi: non riesco, ma voglio provare ancora e ancora, fino a poterci riuscire. 

Cosa serve per riuscirci? 

  • che ci sia un adulto (ovvero non solo una persona più grande di me) che sia capace di riconoscere con me il fatto che io “non riesca”
  • che questa persona sappia insegnarmi, sostenermi
  • che sappia anche accettare che posso non riuscire a superare quel gradino
  • che sappia starmi accanto per trovare nuove strade

Ma di questi adulti ce ne sono pochi, soprattutto sui campi dove fanno sport i bambini e i ragazzi. In questi spazi ci sono spesso genitori e allenatori che davanti alla difficoltà del proprio piccolo atleta tendono a deresponsabilizzarlo e a deresponsabilizzare loro stessi. È colpa dell’arbitro, del genitore che non lo educa, dell’allenatore che non capisce niente, del dirigente che ha preferenze e non dà a tutti le stesse opportunità, del campo, del clima (?!?). Oppure inizia l’ipercritica: si fa un’analisi di tutti gli errori commessi, spesso fatta con rabbia e delusione.

Quali sono le possibili conseguenze di questi comportamenti? 

Il rischio è di vedere ragazzini

  • che credono di essere campioni già pronti per le squadre nazionali
  • che al primo ostacolo si arrabbiano, spesso in modo plateale
  • che assumono atteggiamenti snob (del tipo “non mi meritano in questa palestra!”)
  • che si disperano
  • che svalutano sé stessi oltre il senso di realtà
  • che abbandonano l’attività sportiva.

Invece, raramente ho sentito dire:

  • É vero, hai giocato male, secondo te come mai?
  • Cosa puoi fare per migliorare?
  • Come posso aiutarti?

Credo fortemente che:

  • lo sport insegni a vivere e che l’agonismo sia un valore che aiuti i bambini a diventare adulti, capaci di confrontarsi con le difficoltà e con i successi. Che insegni e a comprendere che la fatica e l’impegno portano a diventare sempre più bravi, ma non necessariamente ad essere un campione.
  • sia illusorio e pericoloso insegnare ad un bambino che “può” tutto; è altrettanto illusorio e pericoloso insegnare ad un ragazzo che non è necessario faticare per ottenere risultati, dato che lui “ha talento”.
  • il compito di un buon genitore e di un buon allenatore sia di permettere ai giovani atleti di non brancolare nel buio nei momenti difficili, ma di essere sostenuti nel raggiungere obiettivi adeguati alla propria crescita.
  • che per fare ciò occorra avere i piedi a terra: si deve avere il senso di realtà, che ci fa confrontare con le risorse che abbiamo e con le difficoltà che ne ostacolano l’espressione, ma si deve anche insegnare a mantenerlo questo senso di realtà.

Come si sviluppa il senso di realtà? Attraverso l’allenamento al confronto.

  • con me stesso
  • con i compagni e avversari
  • con un adulto

Confronto con me stesso: devo considerare i miei progressi, analizzando cioè da dove sono partito a dove sono arrivato (a livello fisico, tecnico e mentale), in un anno, poi in un semestre, quindi in un mese, e in una seduta di allenamento. 

Confronto con i compagni e con gli avversari: perché  sono loro che ci fanno “da specchio”. 

Confronto con un adulto di cui ci si fida: 

  • perché mi dice la verità e lo fa per aiutarmi
  • perché è competente e si prende la responsabilità di insegnarmi cose che sono adeguate al mio fisico e alla mia capacità del momento
  • perché so che tutto ciò che fa lo fa per il mio bene e non mi mette in condizioni di pericolo
  • perché non mi denigra né mi allontana se sbaglio, ma pretende impegno
  • perché sa fermarsi e fermarmi quando esagero e sa sostenermi se mi svaluto per paura
  • perché non mi usa per realizzare i suoi sogni infranti

L’allenamento Integrato

Credo fermamente nell’utilità degli allenamenti integratidove il livello tecnico-tattico si integra a quello fisico, ed entrambi i livelli si integrano a quello relazionale.

È l’unico modo per mettere al centro la persona (atleta) e la sua relazione con i suoi pari (avversari e compagni) e con gli adulti di riferimento (genitori e allenatori in primis), per capire come allenare quel bambino o ragazzo, come migliorare la performance senza mai perdere di vista il suo bene, e ciò che lo aiuta a diventare una persona migliore ed un bravo atleta.

Ma penso che un allenamento integrato non sia per tutti gli allenatori:

– non si può improvvisare: occorre che gli allenatori studino, si formino, si aggiornino con esperti

– non esclude la sofferenza: è solo attraverso la rabbia, la paura e il dispiacere di non riuscire  che si può arrivare alla gioia di vedersi migliorato

– non si accetta per inerzia, è uno stile di vita in cui il rispetto per se stesso e per l’altro sono sullo steso piano e non si può rinunciare all’uno o all’altro

– non lavora per ottenere tutto e subito ma garantisce a tutti il tempo adatto per sviluppare competenze e dare opportunità

– non crea false illusioni ma aiuta a sviluppare una consapevolezza di sé, delle proprie modalità relazionali e del proprio modo di fare performance in campo e nella vita

– non dà per scontato nulla ma pone, ogni volta, davanti lo specchio e chiede di mettersi in discussione con intelligenza, per pensare, pensare insieme e risolvere problemi in campo e fuori

Per questo fare sport è un gioco serio!

Buon divertimento, buon allenamento, e buona vita!

L’importanza del rispetto nel basket

Dal sito  Hoopskills un articolo di Coach Brian Schofield http://www.hoopskills.com/the-importance-of-respect

«Quando ero un ragazzino mio padre mi prese da parte un giorno e mi disse qualcosa che non ho mai dimenticato. Mi disse che era di gran lunga più importante per lui che la gente pensasse a suo figlio come ad un bravo ragazzo rispettoso piuttosto che ad un buon giocatore di basket.

Questo concetto non mi ha mai lasciato. Oggi a volte sembra di vivere in un’epoca completamente diversa. Recentemente ho visto una partita di basket estivo AAU (l’organizzazione americana no profit, Amateur Athletic Union), dove, durante un time out, uno dei giocatori ha iniziato ad urlare all’allenatore “Lasciaci tirare e basta!”.

L’allenatore ha abbassato la testa e non ha fatto nulla, mentre il giocatore è tornato in campo e gli è stato permesso di continuare a giocare. Questo non sarebbe mai accaduto con uno qualsiasi degli allenatori con cui ho giocato, e neanche di certo con mio padre.

Durante una partita di baseball, avevo 10 anni, mi trovavo sul monte di lancio ed ho iniziato a piangere perché non riuscivo a giocare bene. Quando mio padre ha cercato di darmi un consiglio dalla panchina, gli ho urlato qualcosa contro. Con calma mi è venuto incontro in campo e mi ha dato una lezione sul rispetto. Mi spiegò chiaramente che lui era il coach e si stava prendendo le sue responsabilità per aiutarmi nelle scelte.

Ho scelto di mancare di rispetto a lui urlando dal campo e lui sceglieva di portarmi fuori dal gioco perché era ciò che ogni buon allenatore deve fare. Ripensando a quell’evento una cosa che spicca per me è il fatto che mio padre non ha aspettato di arrivare a casa per darmi una lezione. Non ha fatto finta che non fosse accaduto niente, ha agito immediatamente e ne ha fatta una occasione di insegnamento.

Non so se avrebbe avuto un impatto così forte su di me per tutta vita se lui avesse ignorato la situazione durante il gioco per poi punirmi a casa. Penso che gli allenatori debbano prendere a cuore queste cose. Si deve approfittare dei momenti di insegnamento e ottenerne il massimo. Non scegliere la via più facile.

Dato che i nostri lettori sono composti sia da giocatori sia da allenatori voglio rivolgermi ad entrambe le categorie per puntualizzare questo aspetto.

Gli allenatori non dovrebbero mai permettere che i giocatori possano ottenere il meglio di loro mancandogli di rispetto. Ciò significa che quando si sta cercando di ottenere grandi risultati  non si devono consentire alcune cose:

1. Non permettere mai di interrompere e parlare mentre il coach sta parlando. Questo è un segno palese di mancanza di rispetto. Se insegni o alleni la spiegazione è per tutti, quindi tutti hanno bisogno di ascoltare. Qualsiasi giocatore che sta parlando, mentre tu stai parlando deve essere richiamato apertamente e immediatamente per correggere il comportamento e per spiegare come ci si deve comportare

2. Non permettere ad un giocatore di rispondere al coach. Nessun giocatore è sopra di voi o la squadra. Quando ero al liceo ho giocato con un ragazzo che è diventato una stella al college ed ha giocato per diversi anni in Eurolega. Questo giocatore era più bravo di tutti noi, e lo sapeva, ma il nostro allenatore non gli concesse mai alibi,  non sorvolò mai su nulla. Diversi allenamenti sono terminati con questo ragazzo nello spogliatoio per la sua mancanza di rispetto verso gli allenatori. Credo che tutto ciò sia stato positivo per lui visto i successi che ha avuto nella sua carriera. Forse dipende dal fatto che i coach non gli hanno mai permesso di essere irrispettoso. Se gli avessero permesso di fare ciò che voleva mi chiedo se avrebbe avuto lo stesso successo. Ne dubito.

3. Non permettere a nessun giocatore di mancare di rispetto ad un  compagno di squadra. Ciò significa che non si consente di sminuire o ridicolizzare alcun compagno per qualsiasi motivo. Gli allenatori devono avere il controllo e quando un altro giocatore sminuisce un compagno ciò danneggia realmente la squadra e da l’idea alla squadra che il coach supporti questo tipo di comportamento.

Un giocatore dovrebbe tenere a mente queste cose. Se si hanno problemi li si devono affrontare e risolvere fuori dal campo. Nessun allenatore vuole essere messo in imbarazzo e la maggior parte non lo tollera affatto. Ho visto molti allenamenti di  Coach Rick Majerus a Utah University: non appena un giocatore apriva la bocca durante l’allenamento veniva messo a tacere e gli faceva un gran culo.

I giocatori devono conoscere il proprio ruolo e capire che nessun individuo è sopra la squadra e l’allenatore ha la responsabilità di proteggere tutto ciò. Siate rispettosi e ascoltate. Se non siete d’accordo, parlate con l’allenatore più tardi e in privato. Affrontare queste situazioni nel modo corretto permette di maturare al punto di sviluppare abilità che vi aiuteranno ad avere successo in ogni situazione della vostra vita.»

Brian Schofield

Posted by  on January 13, 2014

Cinque motivi per cui i giocatori non raggiungono i loro sogni…

Dal nostro sito vivibasket.it, una interessante riflessione 

 
5. Danno ascolto a coloro i quali riempiono il loro ego invece che a quelli che dicono loro la verità.

4.Si aspettano che sia tutto facile e alla loro portata e non sono disposti al sacrificio per imparare. Le persone svogliate falliscono.

3.Sono così distratti da non concentrarsi su quello che è necessario per avere successo.

2.Non credono sufficientemente in se stessi. Sono insicuri, stressati, spaventati, dubbiosi, e non ci credono mai fino in fondo.

1.Semplicemente non ci arrivano! Non comprendono quanto deciso impegno e persistenza siano necessari per farcela.

http://www.hoopskills.com

Genitori-figli: scuola, sport e responsabilità

La maniera migliore per mettere in punizione un figlio è “togliergli il basket”? Accade troppo spesso, come se la causa dei problemi scolastici fosse il tempo speso in palestra.
 
La nostra Tonia Bonacci ci aiuta:
 
«Niente palestra “per punizione”? No, non insegna nulla, e non serve neanche ad ottenere maggior impegno e risultati nello studio da parte del ragazzo. Ma questo tipo di punizione cosa significa davvero? E quale messaggio trasmettiamo ai nostri figli con questo comportamento?
13d8281In pratica non si fa altro che rendere legittimo il venir meno ad un impegno preso in precedenza coi compagni, con l’allenatore, con tutto il gruppo. Stiamo comunicando al ragazzo che “non è importante far parte di un gruppo che condivide obiettivi”. Lo autorizziamo a non osservare una regola, che prima era condivisa e accettata, e ora invece diventa priva di significato. Non gli insegniamo a prendere decisioni con responsabilità e a sapersi organizzare tempi e spazi in modo utile (nonostante poi nella vita lo si pretenda!).
Per questo da anni insistiamo su incontri di formazione per genitori, per sensibilizzarli in particolare su quei delicati temi educativi che sviluppano nei ragazzi la capacità di imparare a diventare responsabili.

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