Vivi Basket, la Fondazione Laureus e le nostre bimbe 

Siamo arrivati al 6° anno di collaborazione con la fondazione Laureus, un rapporto proficuo, con tanti bambini e bambine che hanno giocato nelle nostre palestre. Il lavoro condotto da Arnaldo Rossi, Edy Pacchioli ed Enzo Moschetti, con la collaborazione della SIPI, sta portando i suoi frutti.

La Neghelli, storica base del Progetto, con i continui cambi di dirigenti ha vissuto alti e bassi, e comunque circa 70 allievi della scuola possono da 5 anni fare attività gratuitamente in un quartiere con mille difficoltà. Il Polifunzionale ha un rapporto strettissimo con la Cooperativa Orsa Maggiore, legame che ha permesso diverse iniziative parallele, ed è diventata la casa in cui convergono i ragazzi che, completato  l’accompagnamento della Fondazione Laureus, passano all’agonistica.

10420122_875734665806606_4436964351283041141_nDa tre anni abbiamo messo in campo una squadra femminile, abbiamo unito le bimbe dei due centri. E uno dei risultati più straordinari è stato che ,controllando gli iscritti al nostro centro Mini Basket, ho scoperto che su 133 ben 47 sono bambine!!! Mi piace mostrare questo video che abbiamo presentato alla fine della passata stagione durante la riunione di chiusura del Progetto Laureus a Napoli, in cui è ben rappresentato lo spirito con cui lavoriamo e il clima in cui crescono le bimbe!

Quest’anno le under 14 stanno giocando in tutta la regione con risultati oggettivamente superiori rispetto alla passata stagione, ma soprattutto sono diventate una squadra!

Coach, l’importanza di “andare a bottega” per imparare il mestiere

NCAA: su Sky la finale della ACC, bella vittoria dei Fighting Irish dell’università di Notre Dame, in panchina c’è una mia vecchia conoscenza, Mike Brey. Assistente di Morgan Wootten alla De Matha High School, che visitammo nel 1980 con un gruppo di giovani (Bosa, Binelli, Iacopini). Ritrovai poi Mike nel 1989 a Duke, era l’assistente di Coach K. 

A conferma dell’importanza, per i giovani allenatori, di “andare a bottega” da bravi maestri per imparare il mestiere!

Noi non siamo così grandi ma con Vivi Basket proviamo a dare questa opportunità a tanti giovani allenatori ed i risultati si vedono!

 

Recuperare il ruolo centrale del coach

Trovo stamattina una interessante intervista in cui Valerio Bianchini ripropone il suo mantra sulla necessità che i tecnici riprendano un ruolo centrale all’interno delle società. Il general manager ed il coach devono condurre la squadra agli obiettivi concordati ad inizio anno.

Stagione nera per la Juve, Bianchini sa come risalire: “Competenza societaria e credere nelle proprie scelte”

Il coach ha analizzato la stagione di Caserta ricordando anche simpatici aneddoti degli anni 80

Valerio Bianchini in una sfida del Palamaggiò negli anni 80

E’ stato uno dei più grandi e vincenti allenatori di basket italiani. Primo nella storia della nostra pallacanestro a vincere tre scudetti con tre club diversi. Valerio Bianchini per dodici lunghi anni è stato uno degli avversari storici della Juvecaserta. Alla guida di Roma e Pesaro ha raccolto gioie e dolori contro i bianconeri. Con Caserta ormai retrocessa in Legadue, il ‘vate’ ha accettato di analizzare la stagione poco fortunata dei campani. “Ho visto la Pasta Reggia allenata da Molin – esordisce – poi sono riuscito solo a seguire i risultati. Purtroppo la retrocessione dipende da una serie di motivazioni che vanno ricercate innanzitutto nella società. I nuovi imprenditori che entrano nel basket devono rispettare un principio semplice, quello della competenza. Allenatori e general manager devono essere appoggiati in ogni scelta. Bisogna dare continuità al lavoro iniziato. Hanno cambiato tre tecnici, ma alla fine non sono riusciti a risolvere i problemi”.

Per far capire ulteriormente il concetto svela un retroscena della sua esperienza con il Messaggero Roma: “Fui convocato a Milano nella sede della Montedison per parlare del contratto. C’era il grande Raul Gardini che non usò mezzi termini per farmi capire le sue intenzioni. Io di pallacanestro non capisco molto – mi disse – però con lei farò come faccio con il pilota del mio jet. Lo compro, scelgo dove e quando andare. Quando salgo sull’aereo il padrone diventa il pilota non il proprietario. Un concetto che non fa una grinza. In realtà quando si passa dall’azienda allo sport è una cosa completamente diversa. A differenza delle aziende che fanno i bilanci trimestrali, nello sport si è costretti a farlo ogni domenica e il verdetto del parquet non lascia scampo”.

Il futuro della Juve è più che mai incerto. Ripartire dalla Legadue ma con che obiettivi? Che progetto? “Caserta secondo me ha bisogno di fare chiarezza – prosegue Bianchini – di tener duro anche se le cose vanno male. Cambiare tre allenatori non è servito. Se si fanno certe scelte bisogna continuare con quelle. Occorrerebbe dare fiducia al tecnico e andare avanti con il progetto iniziale. Anche gli allenatori giovani che stanno emergendo non fanno più gavetta. Avrebbero invece bisogno di una guida perché hanno tante energie, ma poca esperienza”.

Bianchini al Palamaggiò quando guidava la nazionale

Tantissime sfide memorabili con Caserta e un’accoglienza particolare. “E’ stato sempre emozionante mettere piede al Palamaggiò: i tifosi sono stati molto corretti nei miei confronti. Era molto suggestivo ascoltare O surdato ‘nnammurato, mi venivano i brividi. Ho anche molti amici con cui mi sento ancora oggi. Inoltre avevo una venerazione per Caserta. Maggiò riuscì a fare qualcosa di straordinario a Pezza delle Noci e grazie a lui la Juve ha scritto pagine stupende del propria storia. Ricordo grandi sfide ai tempi di Tanjevic e Marcelletti. Una però in particolare, il playoff dell’85. Allenavo Pesaro e durante la stagione cambiai i due stranieri Cook e Daye. Si avvicinò un signore e mi disse: Bianchini hai cambiato più neri tu che Moana Pozzi. Alla fine vincemmo e andammo in finale, ma fu un pre gara davvero memorabile”.

Adesso bisognerà capire in che tempi Caserta tornerà in Lega A: “Riprendersi la massima serie non sarà semplicissimo – conclude Bianchini. E’ un momento di grande transizione per il basket italiano. Si va verso l’idea di bloccare promozioni e retrocessioni creando una vera e propria lega professionistica. Intanto devono avere le idee chiare su obiettivi, sugli uomini su cui puntare, il budget da investire. Poi nello sport si vince e si perde, ma non bisogna mai mollare”.

Giocare a zona, post scriptum

Devo fare una piccola aggiunta alle mie argomentazioni sull’uso precoce della difesa a zona nei campionati giovanili di basket. 

È chiaro che non si può perdere troppo tempo ad insegnare un sistema di gioco adatto alla zona, quindi al lavoro per migliorare il tiro ed al gioco senza palla, si deve aggiungere:

  • l’idea di andare a rimbalzo d’attacco,
  •  educare i ragazzi a corrette scelte di tiro, nel senso di prendere tiri in buon equilibrio di squadra, 
  • curare il recupero difensivo, per chiudere il contropiede, 
  • incrementare la pressione difensiva per cercare di giocare in soprannumero.

Ma certamente al mio esercizio con le sedie, di cui ho parlato nel precedente articolo, dovrò inserire una sedia che segue ad uomo un giocatore, così saremo pronti a giocare anche contro la box and one! 

A parte gli scherzi, c’è poco da fare, solo con il lavoro tecnico e mentale si può far comprendere ai ragazzi che anche questa strana cosa è superabile. 

Mentale, perché quando un ragazzo di 13 anni ti chiede:

Perché non mi fanno giocare e mi tirano per la maglia?

devi fargli comprendere il senso del nostro lavoro, fargli capire che se si muove in continuazione ci saranno difficoltà per gli avversari e vantaggi per i compagni e, probabilmente, si noterà che la maglia viene trattenuta!

Quindi, anche se alla fine della partita avremo perso, si torna in palestra per allenarci, ma consapevoli però di aver vinto qualcosa, di averci guadagnato qualcosa: e cioè che abbiamo perso con uno scarto minore rispetto alla gara di andata e che siamo migliorati nell’affrontare una difesa a zona, cosa che sicuramente ci servirà per le prossime partite.

L’importanza del ruolo

L’importanza di riconoscere quale sia il proprio ruolo in una squadra, la coscienza dei propri limiti, sono fondamentali da insegnare ai nostri giovani!

Un bell’articolo di Mattia Losi, sul Sole 24 ore, su Mario Governa, epico componente della squadra di Milano che ha vinto tutto!

La lezione di Mario Governa, la riserva professore di basket

di Mattia Losi

Chiariamolo subito, Mario Governa non ha mai preteso di insegnare nulla a nessuno. A chi gli chiede, vedendolo alto come una montagna, se abbia giocato a basket, risponde invariabilmente: “Sì, ma ero scarso, un panchinaro”. Nessun cenno ai tre scudetti vinti, alle due Coppe dei Campioni, alla Coppa Intercontinentale, alla Coppa Korac e alla Coppa Italia.

Non ha mai preteso di insegnare nulla a nessuno, eppure anche senza volerlo è un professore di basket. Perché la sua carriera, trascorsa nell’ombra di grandissimi campioni, è l’esempio più chiaro di cosa significhi far parte di un gruppo, accettarne le regole, conoscere e rispettare i propri limiti, impegnarsi al massimo per quello che la squadra ti chiede di dare.

Qualche buontempone, e sul Web ne circolano tanti, ha scritto di lui: “è l’unico giocatore con più titoli vinti che minuti giocati”. Altri dicono che era scarso e che, mi si scusi il termine ma rende benissimo, ha avuto “culo” a giocare nella leggendaria Olimpia degli anni 80.

Ieri sera al Forum di Assago, mentre tutti celebravano il ritiro della maglia di Mike D’Antoni, Mario Governa ha avuto la sua rivincita. Ha dimostrato che se “culo” c’è stato non è quello avuto nel giocare con gente come Meneghin e McAdoo, ma quello che si è fatto permettendo ai suoi compagni di allenarsi al massimo contro di lui. Tornando a casa, ogni sera, con i lividi sul corpo: perché contro quei due, allenamento o no, era sempre una finale di Coppa Campioni.

Più che le frasi di qualche presunto esperto di basket, che probabilmente faticherebbe a dire di che colore è la palla senza prima guardarla, preferisco riportare le parole di Mike D’Antoni: “Sono abbastanza intelligente da capire che la mia maglia viene ritirata non per merito mio, ma per merito del gruppo. Senza Peterson, senza Meneghin, senza McAdoo io non posso fare niente. Ho fatto la mia parte, avevo un ruolo e l’ho svolto bene, ma avevo la palla in mano e mi si notava di più. Ma non ero più importante di Mario Governa: non so quante gomitate ha preso da Meneghin e McAdoo. Era un ruolo anche quello, qualcuno doveva farlo e lui l’ha fatto”.

Iera sera Mario Governa era in mezzo al campo, insieme ai campioni di quella squadra leggendaria. Dalla tribuna dietro canestro è stato facile vedere con quanto affetto, dopo tanti anni, sia stato salutato dai suoi vecchi compagni e da chi, da Peterson a Pippo Faina, l’ha allenato. Roberto Premier, dopo un momento di sorpresa, l’ha sommerso in un abbraccio che non voleva più sciogliere.

Conoscenza dei propri limiti, impegno massimo in ogni momento, mai una volta la pretesa di scendere in campo al posto dei compagni più forti. La squadra al primo posto, sempre. L’accettazione del proprio ruolo: meglio non pretendere di essere in campo a tutti i costi, magari creando problemi alla squadra più che risolverli, e spendere ogni goccia di energia perché i compagni più forti potessero arrivare alla partita nelle condizioni migliori.



In molte imprese dell’Olimpia c’è un pizzico di Mario Governa: prima della grande rimonta dai -31 contro l’Aris Salonicco lui era nella palestra secondaria del Palalido a prendere botte sotto canestro. Prima del grande Slam, seguito dalla vittoria nella Coppa Intercontinentale, lottava su ogni pallone contro Meneghin e McAdoo per prepararli al meglio per i momenti decisivi.

Alla fine, come dice Mike D’Antoni, non è stato meno importante di loro: è stato l’ingranaggio giusto che ha permesso al motore di quella squadra leggendaria di funzionare senza intoppi.

Per questo, se vi risponde come sempre “ero scarso, un panchinaro” non credetegli. Mario Governa è un professore e la sua storia insegna una lezione che chiunque si avvicini al basket dovrebbe imparare: la squadra prima di tutto. Prima di te stesso, prima dei minuti che pretenderesti di giocare al posto di chi è meglio di te, prima di arrendersi alla fatica e al peso di ore e ore di allenamento per poi scendere in campo un minuto quando capita. Una lezione che vale per tutti, per chi gioca ad alto livello ma soprattutto per i più giovani.

Fatica, impegno e accettazione dei propri limiti. Questo, come dice Mario, è lo sport. Tutto il resto al massimo è un gioco, oppure baysitteraggio.

http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2015-03-14/la-lezione-mario-governa-riserva-professore-basket-095812.shtml?uuid=AB5KOM9C

Giocare a zona…

Argomento molto controverso, soprattutto quando a giocare a zona sono i piccolissimi, in Italia a qualunque livello la si faccia è diventato sinonimo di cattiva gestione!

Vi confesso che io non condivido e mi spiego: ho allenato e visto crescere tanti giocatori in Italia ed a livello internazionale in questi oltre 40 anni di basket, e non penso che sia quella la strada da seguire.

Le nostre squadre di piccoli non giocano a zona ma credo anche che ognuno sia libero di fare ciò che vuole nella sua palestra, alla fine sarà il campo a dare un giudizio.

Negli USA, dove il basket lo hanno inventato, nessuno si preoccupa se dalle  elementari all’NCAA qualcuno utilizza la zona (anche se lì c’è una differenza sostanziale, cioè il tempo per andare a canestro è di 45 secondi; in alcuni Stati non c’è un limite, ma sicuramente non ci sono i 24 secondi come in Italia).Anche l’NBA l’ha liberalizzata nel 2002.

In Italia, un paese in cui le leggi sono fatte per fermare i furbi e non per risolvere i problemi, la discussione è sempre aperta. Vi confesso che anch’io prima ero contrario, ma con il passare degli anni (a quasi 61 anni sono maturato…) penso che non sia certo quello il problema.

Senza fare troppe filosofie, come diceva il mio maestro Mirko Novosel, credo che attaccare la difesa a zona sia una opportunità per imparare più facilmente a passarsi la palla, ad occupare gli spazi liberi, ad utilizzare i fondamentali con e senza palla, il rimbalzo d’attacco innanzitutto!

D’altra parte, a livello evoluto, è una buona strategia giocare a zona contro una squadra egoista, che non ama passarsi la palla e che cerca di giocare sempre in penetrazione senza utilizzare il gioco interno. Un paio di settimane fa, un nostro ex allenatore, ha vinto un’importante partita, in un campionato nazionale, proprio utilizzando questa strategia per rompere la formula di gioco della squadra avversaria.

Nel nostro piccolo, la settimana scorsa, allenando insieme ad Antonio Garofalo, un gruppo Under 13 Elite, sapevamo di dover incontrare una squadra che utilizza zone di vario tipo. Ci siamo chiesti: cosa fare? Sicuramente, ci sono tante cose da insegnare, per cui non si ha il tempo per spiegare cosa sia una zona e come attaccarla. Ci siamo inventati un esercizio di riscaldamento: giocare 3 contro zero, 4 contro zero e 5 contro zero per cercare gli spazi vuoti contro… 5 sedie!  D’altra parte a questa età la zona non è  certo molto più mobile… L’obiettivo era passarsi la palla e muoversi occupando le zone libere dalle sedie, fuori dai tre punti e nell’area dei tre secondi. Abbiamo dedicato grande attenzione all’uso dei fondamentali con e senza palla, è stato un buon esercizio di collaborazione tecnica e tattica.

Domenica scorsa, dopo un primo tempo equilibrato, all’inizio del terzo quarto abbiamo dovuto affrontare sia la zona che una difesa super contenitiva. I nostri avversari dopo la vittoria di 35 punti nella gara di andata non si aspettavano queste difficoltà. Ma i nostri ragazzi hanno reagito bene: con due tagli, in post basso e in post alto, abbiamo saputo trovare sempre buoni tiri; al loro lungo che stazionava in area per difendere la zona ha risposto un nostro giocatore che ha saputo trovare gli spazi lasciati liberi (con un’ottima percentuale, 3 su 4); abbiamo sempre cercato molto il contropiede. Alla fine abbiamo vinto di tre punti, grande gioia (ed un divario di 38 punti tra andata e ritorno).

Sia chiaro, non penso che abbiamo risolto tutti i nostri problemi, ma per i ragazzi è stata una bella soddisfazione. Il loro miglioramento passa attraverso il lavoro quotidiano in palestra, svolto sui fondamentali tecnici e tattici, dal guardare, parlare, mantenere viva l’attenzione per tutto il tempo dell’allenamento.

Da un paio di mesi i ragazzi quando entrano in palestra non fanno tiri strani per prepararsi all’allenamento, perché hanno tre esercizi di tecnica di tiro: glielo stiamo insegnando e lentamente iniziamo a vedere i frutti di questo lavoro.

Il futuro ci dirà dove potremo arrivare, ma una cosa è certa, è inutile lamentarsi della zona e di chi la utilizza: pensiamo ad insegnare a giocare ad i nostri ragazzi, il tempo ci darà ragione!

Campionato Under 13: quale pallone usare?

Da qualche mese seguo direttamente un gruppo Under 13 e mi sono chiesto: perché continuare ad usare i palloni n* 5? È il primo campionato FIP, i palloni mini basket di gomma sono delle palle magiche, tutti dai più piccoli ai più grandi si trovano spesso in difficoltà. Quindi perché non usare il pallone n* 6, sarebbe un passaggio graduale verso il n* 7, oltretutto potendo usare anche palloni di qualità migliore! Ne ho parlato con diversi amici e concordavano con me, cosa ne pensate?

Il mio charcutier: Salvatore Cautero, il BUONO!

Adoro i formaggi ed i salumi che, si sa, ben si accompagnano con il vino. Quindi quando qualche anno fa mi arrivó un invito ad una degustazione su  Facebook, mi incuriosii. Ma a Via Salvator Rosa? Non è zona per questo tipo di  negozi, comunque le foto erano invitanti e andai! Ho scoperto un mondo, tipicamente napoletano, nel senso più bello della parola, persone splendide, creative, con una grande volontà di fare bene.

cavone1-640x436La strada non la si vede, sarò passato mile volte e non avevo mai notato che ci fosse quel negozio, tra Via Salvator Rosa ed il Cavone, strada scoscesa che porta a piazza Dante. Da quel giorno è diventato un appuntamento fisso, ma non vado solo il sabato per le degustazioni, quando arriva un amico da fuori Napoli, lo porto lì, è una tappa fissa, come il Cristo Velato…!

10552393_10205352709881649_542025438294478769_nSalvatore ed il papà sono straordinari. Perché il papà? Perché l’attività commerciale è nata con lui, nel negozio affianco troverete un meraviglioso baccalà: il mio preferito è il mussillo. Ed io che da bambino lo odiavo, ne sono diventato golosissimo, sulle orme di mio padre, che lo adorava!

Salvatore ha iniziato a selezionare formaggi ed insaccati. Nel suo piccolo negozio troverete di IMG_1030-0tutto! Su tutti i prodotti di Jolanda De Colo, una moderna azienda produttrice di specialità alimentari per l’alta ristorazione e la gastronomia. Io adoro i derivati del Mangalica, un maiale di origine ungherese, più simile ad una pecora che ad un suino!  Ottimo il prosciutto, ma il mio preferito è l’ossocollo.

L’assortimento di formaggi è notevole, segnalo tutti quelli della Valle Scannese, con un assortimento straordinario (a Salvatore chiedete il Gregoriano un po’ stagionato…), I Filadelfi, prodotti nel Cilento, con latte di bufala e di capra, il fiordilatte e la provola di latte crudo, le robiole piemontesi, che sanciscono così la pace tra i Savoia ed i Borboni. Ottimi i Formaggi di Carmasciando, una meravigliosa fusione di tradizione e sperimentazione con prodotti di grande qualità.

lo-champagneI vini sono tanti, ma mi piace segnalare, al di là delle tante prestigiose etichette di rossi, di bianchi e di champagne, la Blanquette de Limoux, l’ho scoperta e non la lascio più! Tutti i vini di Gerardo Vernazzaro, delle Cantine Astroni, meravigliosa dimostrazione di come fare grande vino in città, le sue cantine sono da visitare! Sempre presenti le bollicine Dubl, di Feudi San Gregorio, consiglio quelle di Greco di Tufo! Ma soprattutto Salvatore è il Re dello Champagne, una scelta straordinaria di etichette!

napoli-starita-margheritaLa sua bravura lo fa collaborare con Marco Infante, con le Pizzerie Sorbillo, a Napoli ed Milano, e con Starita, famosa pizzeria di Materdei, poco lontano dal negozio di Salvatore, da cui ogni tanto arriva la fantastica Montanara infornata !

10152558_10206613207073291_5478219848639629900_nMa il bello è che se andate in qualunque giorno della settimana la disponibilità di Salvatore è la stessa, Vi racconta tutto dei vini e dei prodotti che vi propone, con passione, l’unico problema è che la sua capacità professionale lo sta portando spesso in giro per l’Italia e l’Europa, quindi meglio chiamare prima di andare in pellegrinaggio nel santuario del BUONO.

Ecco come arrivare da Salvatore!

La Pescheria di Claudio, grande qualità nel Mercato Rionale della Torretta

Ho scoperto la Pescheria di Claudio Virente, 6 anni fa, per caso. Trasferiti i nostri uffici a viale Gramsci, ospiti di Angelo Varriale, andavamo a pranzo in un piccolo locale nel Mercatino Rionale di via Galliani, passando vedevo il meraviglioso banco del pesce che sembrava  chiamarmi…

565061_3725458570302_1956392948_n La passione per la cucina, mi portò a provare ed una caratteristica che mi attirò subito fu il fatto che qualunque pesce veniva sfilettato accuratamente. Conobbi Claudio Virente, il titolare, un  napoletano del Vasto ( quartiere popolare, vicino alla Stazione, nella foto Claudio è il bimbo piccolo, con i capelli ricci!), una persona sempre cordiale, con un sorriso che da serenità ed una conoscenza del suo lavoro straordinaria.

10300278_10203946866378869_7468034099012618509_nIniziai comprando il Pesce Bandiera, ( anche conosciuto come Spatola o Pesce Sciabola)  buonissimo ma pieno di spine, per cui se non viene sfilettato è veramente complicato da mangiare. Io lo preparo in involtini, sia di ricotta (salata, infornata…) che di provola. Una delle più grandi capacità di Claudio è quella di consigliare ogni tipo di pesce, anche quello meno conosciuto, ma saporito e nutriente, spesso e volentieri, meno caro.

Da Claudio potete trovare di tutto dalle aragoste ai pesci pregiati del Golfo, che, fidati pescatori, riforniscono giornalmente, a seconda delle stagioni, con un rapporto qualità-prezzo straordinario.

Ottimi i crostacei, che io amo mangiare crudi, così come tutti i pesci della famiglia dei tonni. Un’altra garanzia sono i frutti di mare, di tutti i tipi, sempre freschissimi,  li ho sempre mangiati crudi senza alcun problema.

Claudio suggerisce sempre la ricetta da utilizzare mentre Pasquale, il suo collaboratore, sfiletta il pesce con maestria incomparabile, in tutti questi anni avrò trovato non più di 10 spine.

1613878_10203823246448448_3101174145191810599_nSiamo diventati amici e adesso è il mio fornitore quotidiano di pesce, frutti di mare e crostacei.Una persona straordinaria ancor prima che un ottimo professionista!

 

 

 

Clicca qui e troverai tutte le indicazioni per arrivarci!

Tutte le foto del mio compleanno!

Un bel ricordo di una serata tra tanti amici che mi hanno accompagnato nel corso della mia vita.

Foto di Teresa “La Vispa” Aprea

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