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LA COLPA… È DEGLI ALTRI!

Ho trovato questo interessante articolo sul sito Allfootball scritto da Isabella Gasperini.

Criticare l’allenatore o i compagni di squadra danneggia il piccolo calciatore! Si cresce imparando a conoscere e superare i propri limiti, altrimenti si alimentano le insicurezze del bambino.

Capita spesso di sentir giudicare l’operato dell’istruttore di Scuola Calcio da parte dei genitori. A volte accade semplicemente per parlare un po’ e colmare con due chiacchiere il tempo di una partita o di allenamento. Altre volte, però, capita involontariamente di condire questo atteggiamento con giudizi, non sempre positivi, sull’istruttore e sul suo operato. Ora, ognuno può fare e dire ciò che vuole a patto che questo avvenga nel rispetto degli altri, e soprattutto del proprio figlio. In tal senso dare un giudizio sul mister di fronte a lui può rischiare di renderlo insicuro e indeciso in campo. Questo perché se un adulto di cui il bambino si fida ciecamente, trattandosi del proprio papà o della propria mamma, descrive in un certo modo una persona, per lui quella è una realtà indiscutibile, non un’opinione soggettiva di colui che la esprime. Per esempio se un bambino sente dire da mamma o da papà: “Questa maglietta rossa non ti sta bene” lui molto spesso non riesce a capire che si tratta di un giudizio personale. Pensa che il rosso sia un colore che non gli si addice in modo assoluto. Così se uno dei genitori critica l’istruttore o un compagno di squadra in virtù del suo punto di vista, per il figlio che ascolta ciò che afferma il proprio genitore rappresenta la verità assoluta. Dare giudizi personali su altri piccoli calciatori o sull’istruttore in presenza del giovane atleta, rischia di confonderlo inquinando oltretutto il rapporto che lui stabilisce con gli altri.

CRITICARE NON FA RIMA CON EDUCARE

A volte, con troppa superficialità, dopo una partita si tende a criticare le decisioni dell’allenatore o la prestazione della squadra. In questi casi oltre a inquinare l’idea che il bambino si fa degli altri, si svalorizzano dei punti di riferimento come l’istruttore o un compagno di squadra nei quali lui crede molto. Avere intorno persone che criticano induce per emulazione ad acquisire l’abitudine di disapprovare tutti, proiettando spesso sugli altri le responsabilità di una sconfitta o di un evento sportivo, come per esempio un’ammonizione, e così sfuma l’occasione di riconoscere le proprie manchevolezze. In questo senso può capitare che invece di rendersi conto di non aver giocato bene il bambino impari a giustificarsi adducendo capri espiatori. Ci si abitua così a dare la colpa all’arbitro, al mister, come si vede fare al papà o alla mamma. Un genitore che non riconosce i limiti del figlio e ha l’abitudine di concentrarsi sulla performance di altri non fa che rinforzare nel proprio bambino la brutta abitudine di spostare l’attenzione altrove invece di imparare da una sana autocritica. Così facendo si elude al giovane atleta l’opportunità di riflettere e capire dove ha sbagliato traendo da ciò degli spunti di crescita.

Al Polifunzionale di Soccavo mille bimbi e 3 vs 3, per un’altra grande giornata di sport!

Il Polifunzionale di Soccavo vive un’altra giornata di sport con oltre 1000 bambini e bambine in campo per il Join The Game, torneo di 3 contro 3. Giocano le ragazze ed i ragazzi del 2001, 2002 e 2003 di tutta la provincia.

La manifestazione, organizzata dal Comitato Regionale Campano della FIP con patrocinio dell’Assessorato allo sport del Comune di Napoli e la collaborazione della ASD Palasoccavo del presidente Carmine Scotti con Vivi Basket, Flegrea e CB Pianura, riporta in primo piano la splendida struttura di Soccavo con i suoi tre campi. Un weekend di grande sport dopo il sabato con il Clinic Nazionale e la Megaride Volley l’impianto è gioiosamente invaso, perché, proprio come ha detto ieri Papa Francesco, «A Napoli è difficile vivere, ma non è mai triste»!

Perché Soccavo è un’isola di cultura dello sport

Vedere questa mattina oltre 250 persone affollare la palestra centrale del Polifunzionale di Soccavo mi ha riempito di gioia. Siamo al centro del Rione Traiano, purtroppo spesso al centro di notizie di cronaca nera. Ma il Polifunzionale è la dimostrazione che laddove si dà un’opportunità ai ragazzi la cultura della violenza non entra.

I bimbi e le bimbe del quartiere fanno attività grazie alla Fondazione Laureus, ma nelle palestre arrivano ragazzi da Pianura e da tutta la città, Basket e Volley sono le principali attività!

L’impianto avrebbe bisogno di manutenzione ma la voglia di fare sport delle società e la collaborazione dell’Assessorato allo Sport e dell’Assessorato al Patrimonio fa sì che si riesca a far funzionare questa struttura che lascia sbalorditi tutti coloro che la vedono per la prima volta.

CLINIC NAZIONALE

Vivi Basket, la Fondazione Laureus e le nostre bimbe 

Siamo arrivati al 6° anno di collaborazione con la fondazione Laureus, un rapporto proficuo, con tanti bambini e bambine che hanno giocato nelle nostre palestre. Il lavoro condotto da Arnaldo Rossi, Edy Pacchioli ed Enzo Moschetti, con la collaborazione della SIPI, sta portando i suoi frutti.

La Neghelli, storica base del Progetto, con i continui cambi di dirigenti ha vissuto alti e bassi, e comunque circa 70 allievi della scuola possono da 5 anni fare attività gratuitamente in un quartiere con mille difficoltà. Il Polifunzionale ha un rapporto strettissimo con la Cooperativa Orsa Maggiore, legame che ha permesso diverse iniziative parallele, ed è diventata la casa in cui convergono i ragazzi che, completato  l’accompagnamento della Fondazione Laureus, passano all’agonistica.

10420122_875734665806606_4436964351283041141_nDa tre anni abbiamo messo in campo una squadra femminile, abbiamo unito le bimbe dei due centri. E uno dei risultati più straordinari è stato che ,controllando gli iscritti al nostro centro Mini Basket, ho scoperto che su 133 ben 47 sono bambine!!! Mi piace mostrare questo video che abbiamo presentato alla fine della passata stagione durante la riunione di chiusura del Progetto Laureus a Napoli, in cui è ben rappresentato lo spirito con cui lavoriamo e il clima in cui crescono le bimbe!

Quest’anno le under 14 stanno giocando in tutta la regione con risultati oggettivamente superiori rispetto alla passata stagione, ma soprattutto sono diventate una squadra!

Coach, l’importanza di “andare a bottega” per imparare il mestiere

NCAA: su Sky la finale della ACC, bella vittoria dei Fighting Irish dell’università di Notre Dame, in panchina c’è una mia vecchia conoscenza, Mike Brey. Assistente di Morgan Wootten alla De Matha High School, che visitammo nel 1980 con un gruppo di giovani (Bosa, Binelli, Iacopini). Ritrovai poi Mike nel 1989 a Duke, era l’assistente di Coach K. 

A conferma dell’importanza, per i giovani allenatori, di “andare a bottega” da bravi maestri per imparare il mestiere!

Noi non siamo così grandi ma con Vivi Basket proviamo a dare questa opportunità a tanti giovani allenatori ed i risultati si vedono!

 

Recuperare il ruolo centrale del coach

Trovo stamattina una interessante intervista in cui Valerio Bianchini ripropone il suo mantra sulla necessità che i tecnici riprendano un ruolo centrale all’interno delle società. Il general manager ed il coach devono condurre la squadra agli obiettivi concordati ad inizio anno.

Stagione nera per la Juve, Bianchini sa come risalire: “Competenza societaria e credere nelle proprie scelte”

Il coach ha analizzato la stagione di Caserta ricordando anche simpatici aneddoti degli anni 80

Valerio Bianchini in una sfida del Palamaggiò negli anni 80

E’ stato uno dei più grandi e vincenti allenatori di basket italiani. Primo nella storia della nostra pallacanestro a vincere tre scudetti con tre club diversi. Valerio Bianchini per dodici lunghi anni è stato uno degli avversari storici della Juvecaserta. Alla guida di Roma e Pesaro ha raccolto gioie e dolori contro i bianconeri. Con Caserta ormai retrocessa in Legadue, il ‘vate’ ha accettato di analizzare la stagione poco fortunata dei campani. “Ho visto la Pasta Reggia allenata da Molin – esordisce – poi sono riuscito solo a seguire i risultati. Purtroppo la retrocessione dipende da una serie di motivazioni che vanno ricercate innanzitutto nella società. I nuovi imprenditori che entrano nel basket devono rispettare un principio semplice, quello della competenza. Allenatori e general manager devono essere appoggiati in ogni scelta. Bisogna dare continuità al lavoro iniziato. Hanno cambiato tre tecnici, ma alla fine non sono riusciti a risolvere i problemi”.

Per far capire ulteriormente il concetto svela un retroscena della sua esperienza con il Messaggero Roma: “Fui convocato a Milano nella sede della Montedison per parlare del contratto. C’era il grande Raul Gardini che non usò mezzi termini per farmi capire le sue intenzioni. Io di pallacanestro non capisco molto – mi disse – però con lei farò come faccio con il pilota del mio jet. Lo compro, scelgo dove e quando andare. Quando salgo sull’aereo il padrone diventa il pilota non il proprietario. Un concetto che non fa una grinza. In realtà quando si passa dall’azienda allo sport è una cosa completamente diversa. A differenza delle aziende che fanno i bilanci trimestrali, nello sport si è costretti a farlo ogni domenica e il verdetto del parquet non lascia scampo”.

Il futuro della Juve è più che mai incerto. Ripartire dalla Legadue ma con che obiettivi? Che progetto? “Caserta secondo me ha bisogno di fare chiarezza – prosegue Bianchini – di tener duro anche se le cose vanno male. Cambiare tre allenatori non è servito. Se si fanno certe scelte bisogna continuare con quelle. Occorrerebbe dare fiducia al tecnico e andare avanti con il progetto iniziale. Anche gli allenatori giovani che stanno emergendo non fanno più gavetta. Avrebbero invece bisogno di una guida perché hanno tante energie, ma poca esperienza”.

Bianchini al Palamaggiò quando guidava la nazionale

Tantissime sfide memorabili con Caserta e un’accoglienza particolare. “E’ stato sempre emozionante mettere piede al Palamaggiò: i tifosi sono stati molto corretti nei miei confronti. Era molto suggestivo ascoltare O surdato ‘nnammurato, mi venivano i brividi. Ho anche molti amici con cui mi sento ancora oggi. Inoltre avevo una venerazione per Caserta. Maggiò riuscì a fare qualcosa di straordinario a Pezza delle Noci e grazie a lui la Juve ha scritto pagine stupende del propria storia. Ricordo grandi sfide ai tempi di Tanjevic e Marcelletti. Una però in particolare, il playoff dell’85. Allenavo Pesaro e durante la stagione cambiai i due stranieri Cook e Daye. Si avvicinò un signore e mi disse: Bianchini hai cambiato più neri tu che Moana Pozzi. Alla fine vincemmo e andammo in finale, ma fu un pre gara davvero memorabile”.

Adesso bisognerà capire in che tempi Caserta tornerà in Lega A: “Riprendersi la massima serie non sarà semplicissimo – conclude Bianchini. E’ un momento di grande transizione per il basket italiano. Si va verso l’idea di bloccare promozioni e retrocessioni creando una vera e propria lega professionistica. Intanto devono avere le idee chiare su obiettivi, sugli uomini su cui puntare, il budget da investire. Poi nello sport si vince e si perde, ma non bisogna mai mollare”.

Giocare a zona…

Argomento molto controverso, soprattutto quando a giocare a zona sono i piccolissimi, in Italia a qualunque livello la si faccia è diventato sinonimo di cattiva gestione!

Vi confesso che io non condivido e mi spiego: ho allenato e visto crescere tanti giocatori in Italia ed a livello internazionale in questi oltre 40 anni di basket, e non penso che sia quella la strada da seguire.

Le nostre squadre di piccoli non giocano a zona ma credo anche che ognuno sia libero di fare ciò che vuole nella sua palestra, alla fine sarà il campo a dare un giudizio.

Negli USA, dove il basket lo hanno inventato, nessuno si preoccupa se dalle  elementari all’NCAA qualcuno utilizza la zona (anche se lì c’è una differenza sostanziale, cioè il tempo per andare a canestro è di 45 secondi; in alcuni Stati non c’è un limite, ma sicuramente non ci sono i 24 secondi come in Italia).Anche l’NBA l’ha liberalizzata nel 2002.

In Italia, un paese in cui le leggi sono fatte per fermare i furbi e non per risolvere i problemi, la discussione è sempre aperta. Vi confesso che anch’io prima ero contrario, ma con il passare degli anni (a quasi 61 anni sono maturato…) penso che non sia certo quello il problema.

Senza fare troppe filosofie, come diceva il mio maestro Mirko Novosel, credo che attaccare la difesa a zona sia una opportunità per imparare più facilmente a passarsi la palla, ad occupare gli spazi liberi, ad utilizzare i fondamentali con e senza palla, il rimbalzo d’attacco innanzitutto!

D’altra parte, a livello evoluto, è una buona strategia giocare a zona contro una squadra egoista, che non ama passarsi la palla e che cerca di giocare sempre in penetrazione senza utilizzare il gioco interno. Un paio di settimane fa, un nostro ex allenatore, ha vinto un’importante partita, in un campionato nazionale, proprio utilizzando questa strategia per rompere la formula di gioco della squadra avversaria.

Nel nostro piccolo, la settimana scorsa, allenando insieme ad Antonio Garofalo, un gruppo Under 13 Elite, sapevamo di dover incontrare una squadra che utilizza zone di vario tipo. Ci siamo chiesti: cosa fare? Sicuramente, ci sono tante cose da insegnare, per cui non si ha il tempo per spiegare cosa sia una zona e come attaccarla. Ci siamo inventati un esercizio di riscaldamento: giocare 3 contro zero, 4 contro zero e 5 contro zero per cercare gli spazi vuoti contro… 5 sedie!  D’altra parte a questa età la zona non è  certo molto più mobile… L’obiettivo era passarsi la palla e muoversi occupando le zone libere dalle sedie, fuori dai tre punti e nell’area dei tre secondi. Abbiamo dedicato grande attenzione all’uso dei fondamentali con e senza palla, è stato un buon esercizio di collaborazione tecnica e tattica.

Domenica scorsa, dopo un primo tempo equilibrato, all’inizio del terzo quarto abbiamo dovuto affrontare sia la zona che una difesa super contenitiva. I nostri avversari dopo la vittoria di 35 punti nella gara di andata non si aspettavano queste difficoltà. Ma i nostri ragazzi hanno reagito bene: con due tagli, in post basso e in post alto, abbiamo saputo trovare sempre buoni tiri; al loro lungo che stazionava in area per difendere la zona ha risposto un nostro giocatore che ha saputo trovare gli spazi lasciati liberi (con un’ottima percentuale, 3 su 4); abbiamo sempre cercato molto il contropiede. Alla fine abbiamo vinto di tre punti, grande gioia (ed un divario di 38 punti tra andata e ritorno).

Sia chiaro, non penso che abbiamo risolto tutti i nostri problemi, ma per i ragazzi è stata una bella soddisfazione. Il loro miglioramento passa attraverso il lavoro quotidiano in palestra, svolto sui fondamentali tecnici e tattici, dal guardare, parlare, mantenere viva l’attenzione per tutto il tempo dell’allenamento.

Da un paio di mesi i ragazzi quando entrano in palestra non fanno tiri strani per prepararsi all’allenamento, perché hanno tre esercizi di tecnica di tiro: glielo stiamo insegnando e lentamente iniziamo a vedere i frutti di questo lavoro.

Il futuro ci dirà dove potremo arrivare, ma una cosa è certa, è inutile lamentarsi della zona e di chi la utilizza: pensiamo ad insegnare a giocare ad i nostri ragazzi, il tempo ci darà ragione!

Campionato Under 13: quale pallone usare?

Da qualche mese seguo direttamente un gruppo Under 13 e mi sono chiesto: perché continuare ad usare i palloni n* 5? È il primo campionato FIP, i palloni mini basket di gomma sono delle palle magiche, tutti dai più piccoli ai più grandi si trovano spesso in difficoltà. Quindi perché non usare il pallone n* 6, sarebbe un passaggio graduale verso il n* 7, oltretutto potendo usare anche palloni di qualità migliore! Ne ho parlato con diversi amici e concordavano con me, cosa ne pensate?

Lo Squalo se ne è andato

A distanza di pochi giorni mi trovo di nuovo a ricordare un grande Coach che ci ha lasciato: Jerry Tarkanian “The Shark”.
Lo incontrai a Los Angeles al Camp di Pete Newell, era già leggendario, ma anche lui di una semplicità imbarazzante per un giovane coach come me. Quando scoprì che ero italiano mi cominciò a parlare del figlio, Danny, playmaker della sua squadra. L’anno successivo mi ricontattò attraverso Coach Newell per vedere se ci fosse un’opportunità. Ma il figlio lasciò presto il basket per dedicarsi al lavoro.
Lo Squalo era molto diverso da Dean Smith, è diventato leggendario per la sua carriera a UNLV ( University of Nevada Las Vegas) dove ha ottenuto straordinari successi reclutando atleti che difficilmente sarebbero potuti diventare giocatori NBA.
Con un record di 729 vittorie nell’NCAA, è settimo in percentuale di vittorie, davanti a mostri sacri come Smith e Krzyzewski, ma la sua partita mai terminata è stata quella combattuta con l’NCAA. Le cause e le sospensioni legate alle irregolarità di reclutamento lo hanno accompagnato per anni.
Tarkanian è stato un ottimo coach, molto migliore di ciò che si è detto, ha iniziato per primo ad usare sistematicamente il tiro da tre punti, il suo stile di gioco “Run and Gun” (corri e spara) caratterizzato dal gran numero di possessi, unito alla difesa a tutto campo, ha fatto scuola.
Per quattro volte è arrivato alle Final Four, sempre contro grandi College: lui con il piccolo UNLV, ha perso le prime due volte con Dean Smith, UNC, e Bobby Knight, Indiana University; ha vinto nel 1990 con Coach Krzyzewski, Duke University, concludendo nella stagione successiva, 1990-91, con una sconfitta in semifinale proprio con Duke. L’anno successivo fu travolto da uno scandalo provocato da tre suoi giocatori che lo portarono a lasciare UNLV.
Ma per raggiungere le 700 vittorie riprese ad allenare a Fresno State, la sua Alma Mater. Altro record: in tutta la sua carriera solo due volte le sue squadre hanno mancato il traguardo delle 20 vittorie.
Significative le parole di Coach K dopo la vittoria a sorpresa del 1991:
“Come coach noi lo apprezziamo, la sua squadra è una gioia da vedere, anche se ci devi giocare contro non puoi non apprezzarla. Insegna la difesa press tutto campo come nessun altro ha mai fatto.”
Tarkanian aveva una incredibile abilità di reclutare stelle e trasformarle in una squadra con una mentalità che ben si comprende dalle sue parole:
“Ogni cosa deve essere fatta alla massima velocità ed intensità. Molti allenatori desiderano che i loro giocatori siano rilassati prima delle partite. Io non voglio mai che accada. Io voglio che le loro mani sudino, le loro gambe tremino, che gli occhi siano spiritati. Io voglio che agiscano come se si preparassero alla guerra.”

come sempre ESPN traccia un magnifico profilo, da leggere!

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Hi Roberto, I’m Coach Smith…

Estate 1997, allenavo a Fabriano, eravamo alla ricerca di un playmaker. Un amico olandese mi propose il nome di Jeff McInnis, le informazioni erano contrastanti: un giocatore di classe superiore ma di difficile gestione.
Decisi di telefonare a Coach Dean Smith che lo aveva allenato a North Carolina, rispose la sua segretaria, si ricordò della mia visita nel 1998 ma Coach Smith non era in ufficio, avrebbe riferito della mia telefonata. Dopo un paio d’ore squillò il cellulare e… “Hi Roberto, I’m Coach Smith...” Stavo svenendo! Mi stava chiamando direttamente lui, un mito, si ricordava perfettamente di quella lontana visita, mi diede informazioni molto chiare (lasciammo perdere, non era proprio il caso) nel chiudere la telefonata mi chiese di salutare il suo grande amico Sandro Gamba.
Oggi se ne è andato, ad 83 anni, in silenzio circondato dall’affetto della sua famiglia e delle centinaia di giocatori e coach che devono a lui tanto se non tutto, insegnamenti di vita oltre che di sport.
IMG_1012In quei giorni passati a UNC fu di una disponibilità incredibile, ci aveva assegnato un suo assistente per spiegare tutto ciò che veniva fatto in campo, ci accompagnava nella loro videoteca, ci dava i piani di lavoro.
Negli allenamenti eravamo posizionati nel primo anello, non dovevamo sentire le chiamate delle difese e dei giochi, erano segrete, ma c’era chi stava peggio, sistemato nell’ultimo anello dell’impianto, da lì era difficile anche vedere… La posizione dipendeva dal livello di importanza degli ospiti.
In campo era uno spettacolo, un’organizzazione incredibile, tra assistenti e manager, era tutto preordinato. Una per tutte: un manager doveva essere sempre nel suo cono visivo per alzare un braccio quando finiva il tempo dedicato ad un esercizio!
Ci portò a pranzo, ero con Giorgio Montano e sua moglie Lulù, ci sembrava di essere in un film: gentile, disponibile, allegro: come tutti i Grandi, di una semplicità imbarazzante!
Lo rividi nel 1993, quando vinse, inaspettatamente, le Final Four a New Orleans, grazie alla incredibile stupidaggine di Chris Webber. In quell’occasione lo incontrai insieme a Pete Newell, due incommensurabili maestri!
Tante delle mie vittorie sono legate alla sua Point Zone ed alla variante press a metà campo che Ettore Messina mi insegnò, Ettore era un suo allievo prediletto.
Oggi è scomparso un uomo che ha scritto pagine indimenticabili di basket, allenando giocatori straordinari, Michael Jordan per tutti, lascia un vuoto incredibile, paragonabile a quello lasciato da John Wooden, ma resterà vivo per sempre, nei ricordi e nell’esempio dei suoi giocatori e dei suoi assistenti, perchè negli USA. la memoria dei padri è un fondamento della cultura. In questo noi italiani dovremmo imparare tanto!

Vi inserisco il link dell’articolo di ESPN con l’intervista a Dick Vitale, vale veramente la pena, leggere ed ascoltare!
intervista a Dick Vitale su ESPN