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Willie Sojourner: la tecnica del pivot

Questo video, in bianco e nero, mostra un giovanissimo Willie Sojourner giocare nel suo college, Weber State. La tecnica del pivot, tenere la palla alta, l’uso dei perni, l’uso del tabellone, il passaggio baseball…

Willie Sojourner at Weber State

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Ettore Messina: il senso dello sport

In una intervista della passata stagione (purtroppo solo in inglese), Ettore ci parla, con grande chiarezza, del suo modo di intendere la metafora sport-vita!

Grandi sconfitte, grandi vittorie, così sono cresciuto

Tutto ebbe inizio nel settembre 1966, a casa decisero che dovevo fare sport e a me, che fino a quel momento non facevo altro che scorrazzare per il giardino, arrampicarmi, raccogliere dall’albero i cachi per lanciarli, insomma giocavo libero e tornavo a casa sporco e pieno di sbucciature, fu chiesto un parere su quale sport preferissi iniziare a praticare. “Tennis ed equitazione!” dissi, ma le mie scelte furono clamorosamente bocciate. Perché tra attività e ambienti a me familiari non erano per noi una grossa novità, e infatti la risposta di mio padre (nazionale di scherma e che di sport insomma una certa idea ce l’aveva) fu “Ne hai già fin troppo di tempo da vivere in questi ambienti, vai invece a fare uno sport diverso, conosci altre persone“.

Per caso un giorno leggo sul Mattino di una leva al Collana: “La Certus Oriens organizza corsi di pallacanestro”. La mia mamma mi accompagnò per due volte con la funicolare, ma poi dalla terza in poi mi dovetti arrangiare. Lì trovai Mimmo Infranca, il mio primo allenatore. Mio padre non venne mai ad una partita, mia madre forse sì, una volta.

Oriens Napoli 1966Gennaio 1971, partita al Mario Argento con la Partenope (loro arriveranno secondi in Italia, e noi secondi a Napoli), ma per questo derby quattro miei compagni di squadra si guardarono bene dal venire a giocare la partita in anteprima!

“In anteprima”, cioè in quegli anni si giocavano le partite delle giovanili prima dell’inizio della gara di campionato della prima squadra di serie A. Quel giorno la partita era Ignis Sud-Ignis Varese. E noi, prima dei campioni e davanti a 3000 persone, perdemmo 115-45, e tra il pubblico c’era pure la mia prima fidanzatina.

Stavamo uscendo dal campo mentre le squadre di serie A entravano, mi passarono vicino Aldo Ossola e Dino Meneghin che mi dissero: «Non sempre si può vincere…». E io, in quel preciso momento, decisi che sarei diventato allenatore. Non solo, decisi pure che sarei arrivato ad allenare la squadra di Varese, cosa però non è successa. Ma da allora il basket è diventato la mia vita.

199675_1019676659028_5831_n1978. Alleno la squadra allievi (gli Under 15 di oggi) della Partenope, giochiamo contro l’Italsider di Claudio Del Gais, loro reduci dalle finali nazionali, noi un discreto gruppo, in squadra abbiamo Massimo Zollo e Massimo Sbaragli. Alla fine perdiamo di 36 punti in una palestra dei Cavalli di Bronzo letteralmente gremita. Dopo due anni lo stesso gruppo restituisce con gli interessi quella batosta, fino ad arrivare a giocarsi le finali con una grande partita in quel di Nocera, poi persa dopo tre supplementari contro il Banco di Roma. E da lì Massimo Sbaragli diventerà uno dei più forti giocatori di basket napoletani di tutti i tempi.

 

227169_1069627587770_9514_n1990/1991. Luglio 1990, alleno  la mia prima partita internazionale con la squadra cadetti, ragazzi nati nel 1974: giochiamo contro la Grecia, in una caldissima palestra di Monza, perdiamo di quasi 40 punti. Il giorno dopo siamo di nuovo in campo, e ce la giochiamo fino alla fine. Agosto 1991, vinciamo il titolo Europeo a Salonicco surclassando proprio la Grecia,. Di quel gruppo solo tre arriveranno in nazionale, qualcuno smetterà molto presto.

 

Da sempre mi hanno insegnato a confrontarmi con il massimo livello di competizione. E da un iniziale errato senso di onnipotenza, crescendo ho imparato che nel competere c’è il segreto del crescere, che mi fa capire, al di là di sogni o di enormi aspettative, dove posso realmente arrivare.

Impariamo ed insegniamo ai nostri allievi a confrontarsi, accettando vittoria e sconfitta come dice Kipling:

(…) Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori (…)

(…) Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E – quel che è di più – sei un Uomo, figlio mio!

leggila tutta:

http://www.piuchepuoi.it/varie/se-lettera-al-figlio-1910/

Genitori-figli: scuola, sport e responsabilità

La maniera migliore per mettere in punizione un figlio è “togliergli il basket”? Accade troppo spesso, come se la causa dei problemi scolastici fosse il tempo speso in palestra.
 
La nostra Tonia Bonacci ci aiuta:
 
«Niente palestra “per punizione”? No, non insegna nulla, e non serve neanche ad ottenere maggior impegno e risultati nello studio da parte del ragazzo. Ma questo tipo di punizione cosa significa davvero? E quale messaggio trasmettiamo ai nostri figli con questo comportamento?
13d8281In pratica non si fa altro che rendere legittimo il venir meno ad un impegno preso in precedenza coi compagni, con l’allenatore, con tutto il gruppo. Stiamo comunicando al ragazzo che “non è importante far parte di un gruppo che condivide obiettivi”. Lo autorizziamo a non osservare una regola, che prima era condivisa e accettata, e ora invece diventa priva di significato. Non gli insegniamo a prendere decisioni con responsabilità e a sapersi organizzare tempi e spazi in modo utile (nonostante poi nella vita lo si pretenda!).
Per questo da anni insistiamo su incontri di formazione per genitori, per sensibilizzarli in particolare su quei delicati temi educativi che sviluppano nei ragazzi la capacità di imparare a diventare responsabili.

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Basket, arbitri e tempi moderni

Trovo una mia nota del 2011 penso sia ancora molto attuale

Ho allenato per la prima volta nel 1974, arbitravano Nando Giordano e Gianni Montella, il primo neo promosso ed il secondo arbitro già affermato. Giocavamo all’aperto in via Petrarca nel campo pentagonale, omologato per l’occasione. Erano i primi Giochi della Gioventù, ma due arbitri esperti come loro erano pronti a spiegare ai ragazzi, oltre che a me, giovane ed esuberante allenatore, cosa fare o non fare, con grande educazione.
In un’amichevole con il Centro Basket Campano, del compianto Enrico Cascella, mi arbitrò un ragazzo ricciolino, era stato buon giocatore e che aveva deciso di fare l’arbitro: Rino Colucci.
Mi è capitato addirittura, in una partita dell’allora Trofeo Propaganda, di vedere chiusa una partita… in parità! E l’arbitro, Gianni Alberto, un amico che smise presto, quando portò il referto al Comitato Zonale (a quei tempi in Partenope), prese una clamorosa lavata di testa dal grande Gigino Ciampaglia.
Era normale vedere gli arbitri di Serie A aiutare i colleghi più giovani, e di conseguenza anche i giocatori e gli allenatori. Dirigevano le partite con grande impegno e seria volontà formativa verso tutto il movimento.

La mia prima partita con una squadra nazionale fu arbitrata da Costas Rigas, grande fischietto greco, che oggi è l’attuale Commisioner per l’Eurolega. Rigas era venuto al seguito della nazionale Under 17 per allenarsi in vista dei mondiali. Eravamo a metà luglio in un’assolata palestra di Monza.

In un torneo in Olanda con una squadra di diciassettenni (una squadra ricca di talento, e cito Marconato, Galanda, Scarone giusto per fare qualche nome), ci accompagnò Alessandro Teofili, che si unì a noi come uno scolaretto, aiutandoci a fare crescere i ragazzi giorno dopo giorno.

In serie A ho esordito con Fiorito e Martolini, diversi ma sempre capaci di farsi rispettare senza urlare. Alla fine della partita (vincemmo a Treviso, per la cronaca), furono pieni di consigli per un giovane catapultato in A1.

In Grecia vincemmo un Europeo davanti a 5000 persone con due ottimi arbitri, Jones ed un giovanissimo Araujo (che poi arrivò ai massimi livelli mondiali). Nonostante la baraonda generale, i due arbitri furono capaci di chiudere la partita senza farsi travolgere dall’isteria collettiva (e chi vuol gustarsi la chicca può trovare il video sulla mia bacheca http://youtu.be/Bu_JShL0V_0).

Erano i tempi in cui Ninì Ardito spiegava pallacanestro in Italia (attenzione, ho detto Pallacanestro, non teoria politica!!!). Solo a quelli più bravi cominciava a parlare di vantaggio o svantaggio. Oggi resto sgomento quando incontro giovani arbitri che rispondono con maleducazione e supponenza, spesso non conoscono neanche la tecnica e si trincerano dietro al “regolamento”.

Sarà il segno dei tempi, e succede un po’ anche con i miei ragazzi, ma io che sono tornato ad allenare dopo anni di teoria, provo a dare loro tutto. Provo a dare tutto utilizzando ciò che conosco, spesso con durezza ma senza paura di perdere qualcuno. Le regole devono essere chiare: si deve saper essere genitori e non fratelli, sapersi far carico del proprio ruolo.

Boscia Tanievic, una storia esemplare

Nel mio vagabondare sul web mi sono imbattuto con questa splendida chicca

Buzzer Beater Book – Storie scritte a fil di sirena di Buzzer Beater Blog

Un mini libro su Boscia Tanievic, a cui sono legato da lunga amicizia. Ricordo ancora il mio esordio nel derby a Caserta, nel novembre 1995, dopo aver vinto le mie prime partite in serie A, Boscia venne da me affettuosamente prima della partita a salutarmi.

Quante volte l’ho incontrato da allora? Una cosa ho sempre trovato in lui: sempre semplice, vero, una caratteristica dei grandi!

“SONO SOLO UNO CHE NON SOPPORTA PERDERE”

Durante la guerra che sancì la fine della Jugoslavia non era insolito per gli abitanti del Montenegro veder sfrecciare sopra le proprie teste aerei carichi di bombe. Si racconta che un giorno un pastore, alzando gli occhi al cielo e vedendo per la prima volta i bombardieri squarciare l’aria, sollevasse il bastone e cominciasse a urlare:“Finalmente un degno nemico!”Penso che questo dica tutto quello che c’è da sapere su quel popolo.Provate a chiedere di Boscia Tanjevic in giro. Forse vi accorgerete di come la storia stia gradualmente cominciando a lasciar spazio alla leggenda. Troverete chi vi dirà che ha vinto tutto. Troverete chi vi dirà che ha perso molto. Qualcuno affermerà che in più di quarant’anni di carriera è rimasto fedele a se stesso, altri vi risponderanno che lo ha pagato sulla sua pelle. Tutti, tutti, vi diranno che è un uomo che ha sempre camminato a testa alta. […]

http://www.buzzerbeaterblog.net/sono-solo-uno-che-non-sopporta-perdere/?doing_wp_cron=1421022511.9922060966491699218750

Il Coach Andrea Capobianco by Chiara Turrini

Bighellonando su Twitter mi è capitata questa bella intervista di Chiara Turrini ad Andrea Capobianco, un manifesto dell’essere Coach, questo il link: andrea Capobianco

Infanzia

L’infanzia è definita dai suoni, dagli odori e dalle immagini, prima che sopraggiunga l’ora buia della ragione.
(John Betjeman)

La frittata di Scammaro

ScammaroÈ una vecchia ricetta della cucina napoletana che era preparata spesso a casa mia, amatissima da mio papà, che però spesso si arrabbiava con mamma se non trovava olive in abbondanza.

Perché  “scammaro “? Durante la Quaresima i monaci che, per motivi di salute avevano il permesso di mangiare carne, per non turbare gli altri confratelli, mangiavano nella loro camera, in lingua napoletana “cammera”. Quindi  il termine “cammerare” era sinonimo di mangiar di grasso, mentre al contrario, “scammerare” sinonimo di mangiar di magro. Pare proprio che su richiesta del Duca di Buonvicino, Ippolito Cavalcanti,  elaborò questo piatto di magro (di scammaro) creando un piatto con il giusto equilibrio tra il “gusto” e la “penitenza”.
Ingredienti per sei persone

  • Spaghetti Garofalo: 500 gr.
  • Olio q.b.
  • Olive di Gaeta snocciolate 100 gr
  • Capperi 50 gr
  • Acciughe 75 gr
  • Aglio 2 spicchi
  • N.B. io faccio tutto ad occhio, il dosaggio dipende dal gusto individuale, a me piace piena di alici ed olive, a volte uso anche altri tipi di olive proprio per dare maggior gusto. Ho indicato gli spaghetti Garofalo, sia per la loro ottima tenuta alla cottura sia per la giusta dimensione per la ricetta che, originariamente, il Cavalcanti voleva l’utilizzo dei vermicelli.

Si deve utilizzare una padella antiaderente: una volta c’erano le famose padelle “nere”, nell’olio si fa imbiondire l’aglio e si aggiungono olive e capperi, dopo 5′ si uniscono le acciughe (io uso sempre quelle salate prodotte da Delfino a Cetara), si fanno sciogliere nell’olio fino a che quasi non “scompaiono”.

Si cuoce la pasta con pochissimo sale, la si scola molto al dente e la si condisce con l’intingolo preparato. Si deve mescolare accuratamente per far amalgamare bene i vari componenti. Si ripassa il tutto nella stessa padella utilizzata precedentemente e si lascia cuocere a fuoco dolce, inclinando e ruotando la padella durante la cottura, affinché i bordi della frittata risultino rosolati come il fondo. A questo punto  la si gira utilizzando un coperchio per poi farla scivolare di nuovo nella padella dopo aver eventualmente aggiunto un po’ d’olio, e si segue lo stesso procedimento fino a che anche il secondo lato sarà ben rosolato.

La si può servire sia calda sia tiepida, risulterà croccante esternamente e morbida all’interno.

Valerio Bianchini essere squadra in Libano

Coach Valerio Bianchini riporta la sua esperienza in Libano, sport linguaggio di pace.

Nella mia concezione del basket come viaggio, ho allenato una stagione in Libano incuriosito dal mondo arabo. Il Libano è un’incredible mosaico di religioni diverse. Due rami fondamentali, Cristianesimo e Islam, si suddividono in tante comunità diverse anche abbastanza ostili all’interno della stessa fede. Nella mia squadra avevo giocatori di diverse devozioni: cristiani, maroniti, copti ecc, e mussulmani sciiti, sunniti e di altre appartenenze, in conflitto più o meno dichiarato e tuttavia, quando quei ragazzi indossavano la maglia ed entravano sul campo di basket, ogni differenza scompariva, e restava solo lo spirito di squadra, la fratellanza sportiva, la solidarietà di appartenere a una comunità speciale che se ne fregava delle fedi diverse. Là ho capito l’importanza dello sport in tempo di pace e più di tutto l’importanza di essere “squadra”.