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Ciao Tau

Che dire? Per me è stato un secondo padre, con il prof. Salerno mi ha accompagnato nel basket e nella vita.

Dal primo incontro all’esame del corso allenatore nazionale nel 1979 al suo arrivo a Napoli. Mi volle fortemente come assistente, contro il parere di Nico Messina, che non aveva gradito il mio rifiuto ad andare in panchina radiocomandato.

Eravamo a Chianciano Terme e da lì cominciò la mia educazione sportiva ed umana con il Tau.

Pochi mesi fa, in occasione del suo compleanno (è stata anche l’ultima volta che ci ho parlato), ho raccontato qualche episodio della nostra vita insieme, ma oggi faccio fatica, Dopo la fine dei miei genitori questa è la perdita più grande della mia vita, mi è stato vicino sempre, con una parola, un consiglio.

Per quanto amasse parlare per descrivere minuziosamente ogni cosa che facesse, dal basket, alla cucina o a qualunque argomento che avesse approfondito, per tanto era diretto e di poche parole quando doveva darmi un consiglio. Con la sua burbera ma affettuosa schiettezza, in tante occasioni mi ha aperto gli occhi su mie situazioni personali e di lavoro.

Oggi lascia la sua compagna di sempre, Germana, Mamma Tau, come io la chiamo, Claudia ed Elena, le due figlie, ed i nipoti. Io ho avuto la fortuna di essere vicino a Claudia ed alla sua famiglia che sono certo porteranno alto il nome di Tau.

Buon viaggio papà Tau, spero di essere degno di onorarti ogni giorno, ma ci mancherai tanto.

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Taurisano, la storia va insegnata

Era il maggio 1979 quando mi trovai di fronte a lui a sostenere l’esame del corso allenatore nazionale a Rimini. Fu il mio primo contatto diretto ma i suoi insegnamenti avevano già tracciato il solco su cui si muoveva la mia carriera di allenatore.

Basket Boom Story fu il primo libro di basket significativo che ho letto.

Ma la sua proverbiale organizzazione e capacità di strutturare gli allenamenti e una stagione mi era stata passata da Ugo Schaeper che lo aveva seguito nei suoi Camp estivi.

Tau era formidabile nell’organizzare tutto. Ricordo ancora la sua lezione nel luglio 1978 alla palestra della Basilica di San Paolo, sul contropiede. Ogni giocatore aveva un numero ed un compito ben definito, nelle dimostrazioni c’era qualcuno che rischiò di restare sul campo a furia di correre.

Solo dopo scoprii quel monumento dell’insegnamento che è “La pallacanestro ” con una descrizione perfetta di ogni fondamentale.

Da lontano intimoriva ma quando dopo qualche anno mi ritrovai al suo fianco a Chianciano scelto come assistente, grazie a Santi Puglisi, scoprii un uomo straordinario.

Come tutti i grandissimi, semplice, leale, diretto, disponibile, da allora è diventato un mio riferimento nella vita sportiva e personale.

A Cantù era diventato famoso per aver costruito una squadra con tanti ragazzi del vivaio ed aver dato uno stile di gioco che è rimasto tale per decenni: il contropiede di Cantù con Marzorati e Recalcati è indimenticabile, come la mitica foto del muro di Cantù, emblema della sua capacità di giocare con i centri.

La sua difesa era preparata in ogni singolo aspetto, individuale e zona. Ricordo che proprio a Chianciano mi spiegò le due difese che tanto ci aiutarono quell’anno: la 21 e la 12. Erano semplici si mostrava una 2-3 per poi passare ad una 1-3-1 per adattarsi allo schieramento avversario, e viceversa dalla 1-3-1 si passava a 2-3.

Si fece stampare dei quadernoni in cui era possibile riportare ogni allenamento con esercizi e annotazioni pre e post prestazione.

Tutto era preparato all’inizio della stagione ma era uno schema su cui lui sapeva adattarsi con grande duttilità.

Grande inventore di esercizi funzionali al nostro gioco, ne ricordo uno per tutti “Invertire ” il classico esercizio di 2c2, 3c3 e 4c4 per lavorare sul contropiede.

A Napoli si ambientò subito, forse per i suoi antenati napoletani, divenne più scugnizzo di tutti. Andare in macchina con lui era una esperienza da terrore, si infilava ovunque pronto a rispondere in dialetto a qualunque protesta di noi malcapitati napoletani.

Tra le tante sue conoscenze due erano proverbiali: i funghi e la cucina unita alla conoscenza dei vini. Con lui mi sono appassionato a vino e cucina.

Trovava funghi ovunque, riconoscendo ogni specie, proverbiali i porcini e gli ovoli trovati a Cuma sotto l’Acropoli, o i 5 kg di porcini e coprinus comatus trovati nel villaggio turistico di Taranto dove giocammo un torneo, Marco Bonamico lo prese in giro per mesi per la loro descrizione e forma.

Perché una delle caratteristiche di Tau era proprio questa: aveva il massimo rispetto da tutti, ma era capace di scherzare con tutti.

Fu il primo a portare le squadre a Bormio, al Rezia da Maurizio Gandolfi, eravamo trattati come re, ci si allenava duramente senza sentirlo. Sempre variazioni per la preparazione fisica, imposta anche allo staff, ci arrampicavamo ovunque con i pulmini del Rezia, Val dei Vitelli, Oga, laghi del Cancano… Ma c’era spazio per il relax, a tavola si mangiava di tutto, immancabili i suoi funghi, i giocatori si divertivano fuori del campo e noi giocavamo interminabili partite di carte. Si inventò anche un gioco di carte le cui regole furono scritte su di un tovagliolo, lo “Sfaccimmo”. Una sorta di bridge semplificato. Con il grande Gigi Tufano, Renato Volpicelli giocavamo le ore.

Portò NAPOLI in A1 con una capacità straordinaria di costruire la squadra negli anni, di scegliere americani funzionali al nostro gioco, scoperti con la sua rete di amicizie negli USA. Ricostruì il Muro con Toni Fuss, Lee Johnson e Rudy Woods, che una sera ritrovammo infilati in una 126 con Max Antonelli ed una ragazza, malcapitata proprietaria dell’auto, in giro per Bormio!!

Memorabili i suoi duetti con Nicola De Piano, che riuscì a condurre con grande maestria nel mondo del basket. Ricordo sempre che mai un giocatore fu preso senza il suo consenso. Il Tau organizzava il roster in modo di avere sempre due giocatori, un anno servivano un 4 ed un 5. Il Tau stilò la sua lista con in cima Meneghin poi Polesello ed infine Fuss e Righi. Arrivarono gli ultimi due ma li aveva scelti lui.

Il mio cruccio era l’impossibilità di avere giovani napoletani in squadra, se si esclude Massimo Sbaragli, ma il Tau mi diceva, “Roberto al presidente non interessa, per cui è inutile andare contro le sue direttive generali preferisce giocatori di fuori Napoli “. Molti si sono allenati solo Massimo ha giocato. Era bravo a trovare giocatori giovani da lontano, assecondando la volontà di Depi, sua la scoperta di Riccio Ragazzi, Clivio Righi, Simone Lottici, e tanti USA giovanissimi.

Altra maestria era la capacità di gestire quelli che lui definiva “lazzaroni”. Bastone e carota e rendevano a mille, italiani e stranieri.

Come dimenticare le settimane dei playoff per salire in A1 in cui Rudy Woods era introvabile…

Nella sua organizzazione era geniale, univa attacchi tradizionali a giochi innovativi, ricordo il gioco con il blocco cieco in allontanamento dopo un passaggio consegnato, disegnato per Lee Johnson, che portava straordinari risultati.

Passò due volte per Napoli, la seconda volta lo convincemmo Enzo Caserta ed io, per evitare un arrivo poco gradito per le modalità con cui si propose un altro coach, in apparenza amico, in realtà sibillino. Ma fu un successo!

Scrivendo mi vengono in mente mille episodi, ma mi piace arrivare al suo addio al basket, deciso in autonomia, quando avrebbe potuto dare ancora molto, ma quel mondo non gli piaceva più!

Si lanciò in un’attività imprenditoriale, Il Podologo , un’azienda che fu tra le primissime a produrre plantari studiati con una pedana ad hoc per ciascuno. Ed anche li fu un grande successo!

Si trasferì nella casa che si fece costruire a Polpenazze del Garda ( per prenderlo in giro io dicevo che si era trasferito a polpettone sul Garda), e, dopo qualche collaborazione con il CNA, restò spettatore di un mondo che aveva contribuito a rendere grande.

Da allora i miei rapporti sono rimasti intensi, quando ho avuto momenti difficili o felici li ho sempre voluti condividere con lui, ricevendo consigli saggi.

Ho collaborato con il Tau nella stesura dell’Albero del Basket, una monumentale pubblicazione sui fondamentali, in cui i miei ragazzi napoletani hanno fatto da modelli fotografici.

Il Tau ha continuato con le passioni della sua vita, le piante, i funghi, avendo al suo fianco la straordinaria Germana, compagna di sempre, le figlie ed i nipoti, alcuni dei quali sono un legame forte tra me e lui. Hanno preso la sua rigorosità, la sua testardaggine nel raggiungere gli obiettivi, il cuore immenso, la capacità di andare oltre ogni vicissitudine.

Il Tau è ancora un guerriero nel suo maniero circondato dall’affetto e dal rispetto di tutti. Meriterebbe che tutti conoscessero la sua storia, senza di lui il basket moderno sarebbe diverso. E chiudo con uno dei complimenti più belli che uno dei suoi più grandi allievi, e mio maestro, Valerio Bianchini mi fece, presentandomi come assistente della nazionale sperimentale che nel 1985 andò in Cina: “Roberto è un predestinato è nato nel 1953, perché dico questo? Nel 1923 è nato Cesare Rubini, nel 1933 Arnaldo Taurisano, nel 1943 sono nato io, che il 1953 gli sia di buon auspicio!” Io ho solo avuto l’onore di lavorare ed essere voluto bene da tutti questi grandi, neanche lontanamente mi posso paragonare a loro, ma senza queste persone io non sarei Roberto di Lorenzo.

Valerio Bianchini essere squadra in Libano

Coach Valerio Bianchini riporta la sua esperienza in Libano, sport linguaggio di pace.

Nella mia concezione del basket come viaggio, ho allenato una stagione in Libano incuriosito dal mondo arabo. Il Libano è un’incredible mosaico di religioni diverse. Due rami fondamentali, Cristianesimo e Islam, si suddividono in tante comunità diverse anche abbastanza ostili all’interno della stessa fede. Nella mia squadra avevo giocatori di diverse devozioni: cristiani, maroniti, copti ecc, e mussulmani sciiti, sunniti e di altre appartenenze, in conflitto più o meno dichiarato e tuttavia, quando quei ragazzi indossavano la maglia ed entravano sul campo di basket, ogni differenza scompariva, e restava solo lo spirito di squadra, la fratellanza sportiva, la solidarietà di appartenere a una comunità speciale che se ne fregava delle fedi diverse. Là ho capito l’importanza dello sport in tempo di pace e più di tutto l’importanza di essere “squadra”.